domenica 4 novembre 2018

RACCONTO: COSTANZA BONARELLI


COSTANZA BONARELLI



Nel 1638 Costanza Bonarelli  era una graziosa  ragazza  di circa trent’anni che viveva con il marito scultore Matteo Bonarelli nel quartiere di Borgo nei pressi del Vaticano. Colta e intelligente, di raffinata discendenza aristocratica, era infatti strettamente imparentata con il ramo viterbese dei Piccolomini, si guadagnava da vivere facendo la mercante d’arte di successo, ad esempio recentemente aveva venduto per tremila ducati numerose tele di Nicolas Poussin al temibile cardinale di Richelieu, eminenza grigia del re Luigi XIII. Abituata a trattare alla pari con nobili, papi e cardinali Costanza amava la vita e benché fosse una donna sposata era sempre pronta a intrecciare relazioni amorose passionali e spregiudicate, per di più spesso utili alla sua attività economica. Da due anni amava appassionatamente Gian Lorenzo Bernini, che per lei aveva perso letteralmente la testa. Si vociferava a Roma, con grande scandalo dei benpensanti, che Gian Lorenzo trascorresse ormai molto più tempo ad amoreggiare con lei  nella sua casa di Borgo di quanto ne passasse in San Pietro per portare avanti le numerose commissioni scultoree che papa Urbano ottavo gli aveva affidato. Gian Lorenzo la amava di un amore violento e passionale e non faceva altro per tutta la giornata che pensare a lei; tutta la sua vita ruotava ormai intorno a quella donna, il desiderio di averla sempre con sé , l’insistente presenza dell’immagine di quella donna che gli portava alla mente la dolcezza di quei continui incontri furtivi, dominava ormai completamente l’animo di Gian Lorenzo. “Costanza io amo, per Costanza impazzisco, per Costanza m’incanto” ripeteva continuamente il grande scultore dentro di sé.  Completamente dominato dal desiderio verso quella donna Gian Lorenzo non desiderava altro ormai che averla sempre esclusivamente tutta per sé. Ma una mattina di inizio estate del 1638, Gian Lorenzo, passando per caso nei pressi della casa di suo fratello minore Luigi, nei pressi di Santa Bibiana, vide Costanza uscire dalla porta di quella abitazione con i capelli scomposti e lo sguardo assonnato. Non gli ci volle molto per comprendere ciò che era accaduto nel segreto delle stanze di quella dimora, e così quell’incanto amoroso svanì di colpo. Gian Lorenzo comprese che quella donna da lui tanto amata e agognata non gli apparteneva affatto in modo esclusivo come lui aveva sempre immaginato e fantasticato. Lei lo tradiva spudoratamente e per di più lo tradiva con il suo amatissimo fratello Luigi! Doppio tradimento dunque. Il sentimento appassionato verso quella donna mutò improvvisamente e sottili inquietudini si impadronirono del suo animo. Esse si trasformarono ben presto in  un cocente dolore per la perdita di possesso di quel bene che lui riteneva sua unica ed esclusiva ragione di vita. Comprendeva ormai che quella donna non gli apparteneva più. Preso dalla disperazione pensò di poter continuare a possedere quella donna attraverso la sua arte. Iniziò allora a lavorare giorno e notte ad un busto in marmo di Costanza che  in tal modo sarebbe appartenuta a lui per tutta l’eternità, sebbene solo attraverso una scultura di marmo. E la raffigurò come tante volte l’aveva vista durante i loro incontri amorosi: con i capelli scompigliati, le labbra leggermente socchiuse, la camicia da notte leggermente aperta  a lasciar intuire le morbide forme del suo corpo. Concluse il busto in una sola settimana di febbrile lavoro e poi si mise ad adorarlo e a contemplarlo, abbracciandolo più volte e baciandolo anche appassionatamente. Ma ben presto  si rese conto che la freddezza marmorea di quel simulacro non poteva affatto sostituire il calore vivo di quella donna che sentiva irrimediabilmente  e definitivamente lontana da lui. Il tentativo di continuare a possedere l’amore di Costanza attraverso la scultura fallì così miseramente e a questo punto un’ira e un’indignazione sempre più  forti si impadronirono dell’animo di Gian Lorenzo. “Vendetta sì, tremenda vendetta” cominciò a sussurrargli una  maligna voce interiore sempre più forte e insistente. Decise allora di vendicarsi in primo luogo di quel fedifrago di suo fratello, che incurante della lealtà fraterna gli aveva sottratto quel bene di impareggiabile valore. Si armò di un bastone e corse ad aspettarlo fuori casa. Non appena lo vide gli urlò contro tutte le minacce e le cattiverie che gli vennero in mente, brandendo con furiosa disperazione quell’arma impropria. Luigi, non appena ebbe visto il fratello in quelle condizioni ferine, si dette ad una fuga precipitosa ed entrò affrettatamente nella basilica di  Santa Maria Maggiore. Ma neppure la sacralità di quel luogo riuscì a calmare l’ira di Gian Lorenzo, che entrato  in quel luogo sacro, raggiunse il fratello nei pressi dell’altar maggiore ed iniziò a bastonarlo furiosamente. E l’avrebbe certamente ucciso, se alcuni preti della basilica non fossero intervenuti a disarmarlo e ad allontanarlo a forza; in  tal modo Luigi se la cavò per il rotto della cuffia e salvò la pelle, riportando tuttavia la rottura di alcune costole. La notizia della furiosa escandescenza di Gian Lorenzo si sparse in un baleno per tutta Roma, raggiunse anche la madre di Gian Lorenzo e di Luigi,  Angelica che prontamente pensò di scrivere al cardinale  Francesco Barberini  raccontandogli l’accaduto e chiedendogli di mandare in esilio quel figlio furioso che aveva  tentato di uccidere il proprio fratello addirittura in uno dei luoghi più sacri di tutta la cristianità. Il cardinale mandò in primo luogo alcuni servitori a casa di Gian Lorenzo affinché lo calmassero e gli impedissero  di agire ulteriormente in modo violento. E il cardinale si dimostrò veramente saggio, infatti Gian Lorenzo tornato nella propria abitazione, già pensava di vendicarsi anche di Costanza; aveva già dato ordine ad un suo  servitore armato di rasoio di raggiungerla a Borgo e di sfregiarle il volto. Questo piano selvaggio e criminoso fu fortunatamente sventato dall’intervento degli uomini del cardinale, che posero Gian Lorenzo sotto stretta sorveglianza in  una sorta di stato di arresto provvisorio, nell’attesa delle decisioni definitive sul suo conto da parte di papa Urbano Ottavo. Quest’ultimo avvisato da Francesco dell’accaduto lasciò le sacre stanze dei palazzi apostolici e si recò velocemente  a palazzo Barberini, per discutere della situazione con il proprio nipote. Qui gli parve subito impossibile esiliare Gian Lorenzo, del cui talento artistico aveva assolutamente bisogno per dare lustro al proprio pontificato e alla cristianità tutta; decise quindi  di esiliare immediatamente il meno utile dei due fratelli, cioè Luigi e convocò per il giorno successivo Gian Lorenzo al fine di rimettere la testa a posto a quello sciagurato ma indispensabile scultore. L’indomani Gian Lorenzo, che si era nel frattempo calmato  e  che  già  paventava le conseguenze dei propri gesti inconsulti, varcò il portone di palazzo Barberini. Papa Urbano ottavo sedeva su uno scranno di marmo rivestito dei solenni paramenti sacri attestanti la dignità del pontefice nel salone di palazzo Barberini, quello affrescato interamente pochi anni prima da Pietro da Cortona.  Gian Lorenzo , salita la scalinata, vide in fondo alla sala il pontefice in atteggiamento solenne e dal volto irato, si avvicinò lentamente al papa, e quando fu giunto presso il suo cospetto si inginocchiò e disse: <Mi inchino reverente di fronte alla santità della vostra persona che mi onoro da tanti anni di servire> Il papa fece un cenno con la mano affinché si sollevasse e poi cominciò a parlare in tono aspro:< Cavalier Bernini, che diavolo mai vi passa per la testa? Tentare di uccidere il vostro fratello a causa di una relazione clandestina con una donna sposata, e per di più attentare alla sua vita proprio in uno dei luoghi più sacri e venerati di tutta la cristianità. Non avete dunque alcun riguardo per le api che volteggiano in questa sala e che tanto vi hanno beneficato? E non pensate all’angoscia che avete procurato alla vostra povera madre che in un sol colpo ha rischiato di perdere le due persone che più ama al mondo: voi e vostro fratello? Meritereste di passare molti anni della vostra vita in ceppi a Castel Sant’Angelo!> Gian Lorenzo non rispose, divenne tutto rosso in volto e chinò il capo in segno di sottomissione. Il papa allora riprese più dolcemente: < Figliolo, Dio non ha voluto che voi veniste al mondo per rovinare il vostro talento a causa di un amore sbagliato, adulterino e ciecamente possessivo. Il mondo purtroppo è spesso cieco e voi vi siete comportato conformemente ad esso. Dio vi ha chiamato ad una grande impresa: quella di servire la chiesa attraverso la vostra arte e a questo dovete il fatto che non sarete punito  duramente per la vostra condotta irragionevole e furiosa. Tuttavia dall’alto del mio alto magistero, dato che non intendo punirvi, cercherò invece di ammaestrarvi. Vi spiegherò dunque la natura del vostro errore affinché possiate meditare e pentirvi nell’intimo per la vostra sciagurata condotta. Varie sono le specie di amore che l’Eterno ha creato. In primo luogo l’amore di Dio per tutte le sue creature, esso è Caritas, ed è simile ad una luce benigna che dall’alto tutto investe gratuitamente senza nulla chiedere in cambio. A codesto amore la creatura deve rispondere con l’amore nei confronti del proprio creatore. Questo è l’unico tipo di amore assoluto. Esiste poi un secondo genere di amore quello della creatura per le altre creature. Ebbene questo tipo d’amore, celebrato e magnificato ingenuamente da tutta la nostra poesia, è un amore del tutto imperfetto e come accade a tutte le cose di questo mondo, non è un bene assoluto, ma un misto di bene e di male.  La gran parte degli uomini vedono in esso solo un grande bene, e questo può essere vero nella misura in cui esso proceda bene e sia ricambiato. Ma nel momento in cui subentri la perdita del bene agognato, nel momento in cui venga meno il possesso della cosa amata, ecco che questo amore si trasforma facilmente nel suo contrario e può diventare odio e cieco furore. Aveva ragione il vecchio Eraclito a sostenere l’unità dei contrari! Chi non conosce la sventurata Medea che dopo essere stata abbandonata da Giasone, trasformò il suo amore in odio e spinse la sua cieca furia al punto da commettere l’odiato crimine dell’uccisione dei propri figli  per vendicarsi dell’abbandono subito? La maggior parte degli uomini ritengono che questi atti criminosi commessi in nome dell’amore non li riguardino affatto, siano atti mostruosi nati da menti perverse, ma forse il male è sempre in agguato in ogni creatura a causa della sua intrinseca debolezza ed anche all’uomo più ragionevole può capitare di commettere atti terribili e sconsiderati.  Ciò è proprio quello che è accaduto a voi, mio caro cavalier Bernini. Le cose sono maledettamente assai più complicate di come le si descrivono comunemente. Qui può soccorrere l’insegnamento degli antichi da me sempre studiati e venerati. Occorre sempre grande vigilanza e un non facile equilibrio e una impegnativa riflessione. L’amore passionale che comporta il possesso e la dipendenza dall’oggetto amato secondo il venerabile Crisippo è una passione del tutto sconsiderata che va estirpata dall’animo. Ma forse ciò è irrealizzabile e tale tesi la si può applicare solo all’inesistente saggio stoico, più che ai concreti esseri umani. Anche secondo Lucrezio questo amore passionale e possessivo va condannato e sostituito dalla ricerca del puro piacere, da quella che lui chiama pura voluptas. Non crediate però che io mi faccia portavoce di questa tesi che porterebbe al puro libertinaggio e sarebbe quindi lontana dalla vera dottrina delle nostre scritture. Voglio darvi un consiglio pratico, caro cavalier Bernini. Abbandonate le relazioni troppo passionali che il più delle volte sono relazioni  adulterine e prendetevi una moglie. Amate questa moglie di un amore equilibrato e razionale che possa portare alla nascita di figli  ad maiorem gloriam Dei et Romanae Ecclesiae. Un amore  che non sia ossessivo e possessivo, e che nel corso del tempo, che inevitabilmente logora  e distrugge ogni cosa, sia atto a trasformarsi in affetto e autentica amicizia. Un amore di tal fatta, pronto ad adattarsi alle contingenze della vita, è molto improbabile possa trasformarsi, di fronte alla perdita del possesso dell’amata, nel suo contrario e sfociare in atti di odio e violenza, come quelli che voi avete compiuto, anche se fortunatamente voi non vi siete spinto fino all’irreparabile. Ricordate sempre, amatissimo figliuolo, l’ epigrafe che quando fui cardinale apposi nel basamento della vostra scultura di Apollo che insegue Dafne:” Chiunque segue le gioie del piacere, acceccato dal desiderio e dal possesso dell’amante, si ritrova con la mano piena di foglie e di bacche amare”.> Così dunque parlò il coltissimo Maffeo Barberini. Gian Lorenzo uscì da quella udienza profondamente riconfortato e deciso a rinunciare ad un amore troppo fortemente possessivo, sinceramente pentito delle proprie azioni sconsiderate e malvagie. Regalò subito ai Medici il busto in marmo di Costanza Bonarelli, anche se  tenne per sé segretamente un bozzetto in terracotta di quel busto, che negli anni successivi ancora gli accadde  talvolta di  contemplare furtivamente. Decise inoltre di seguire il consiglio del Papa di sposarsi e amò per il resto della propria vita la sua compagna di quell’amore equilibrato e non eccessivo di cui  gli aveva parlato il pontefice. Qualche lettore si chiederà che cosa accadde a Costanza, denunciata come adultera, venne condannata e passò qualche mese in prigione; riottenuta la libertà proseguì la sua attività  di mercante e continuò i suoi amori clandestini come se nulla fosse accaduto.


                                                                                      


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