COSTANZA
BONARELLI
Nel 1638
Costanza Bonarelli era una graziosa ragazza
di circa trent’anni che viveva con il marito scultore Matteo Bonarelli
nel quartiere di Borgo nei pressi del Vaticano. Colta e intelligente, di
raffinata discendenza aristocratica, era infatti strettamente imparentata con
il ramo viterbese dei Piccolomini, si guadagnava da vivere facendo la mercante
d’arte di successo, ad esempio recentemente aveva venduto per tremila ducati
numerose tele di Nicolas Poussin al temibile cardinale di Richelieu, eminenza
grigia del re Luigi XIII. Abituata a trattare alla pari con nobili, papi e cardinali
Costanza amava la vita e benché fosse una donna sposata era sempre pronta a
intrecciare relazioni amorose passionali e spregiudicate, per di più spesso
utili alla sua attività economica. Da due anni amava appassionatamente Gian
Lorenzo Bernini, che per lei aveva perso letteralmente la testa. Si vociferava
a Roma, con grande scandalo dei benpensanti, che Gian Lorenzo trascorresse
ormai molto più tempo ad amoreggiare con lei
nella sua casa di Borgo di quanto ne passasse in San Pietro per portare
avanti le numerose commissioni scultoree che papa Urbano ottavo gli aveva
affidato. Gian Lorenzo la amava di un amore violento e passionale e non faceva
altro per tutta la giornata che pensare a lei; tutta la sua vita ruotava ormai
intorno a quella donna, il desiderio di averla sempre con sé , l’insistente
presenza dell’immagine di quella donna che gli portava alla mente la dolcezza
di quei continui incontri furtivi, dominava ormai completamente l’animo di Gian
Lorenzo. “Costanza io amo, per Costanza impazzisco, per Costanza m’incanto”
ripeteva continuamente il grande scultore dentro di sé. Completamente dominato dal desiderio verso
quella donna Gian Lorenzo non desiderava altro ormai che averla sempre
esclusivamente tutta per sé. Ma una mattina di inizio estate del 1638, Gian
Lorenzo, passando per caso nei pressi della casa di suo fratello minore Luigi,
nei pressi di Santa Bibiana, vide Costanza uscire dalla porta di quella
abitazione con i capelli scomposti e lo sguardo assonnato. Non gli ci volle
molto per comprendere ciò che era accaduto nel segreto delle stanze di quella
dimora, e così quell’incanto amoroso svanì di colpo. Gian Lorenzo comprese che
quella donna da lui tanto amata e agognata non gli apparteneva affatto in modo esclusivo
come lui aveva sempre immaginato e fantasticato. Lei lo tradiva spudoratamente
e per di più lo tradiva con il suo amatissimo fratello Luigi! Doppio tradimento
dunque. Il sentimento appassionato verso quella donna mutò improvvisamente e
sottili inquietudini si impadronirono del suo animo. Esse si trasformarono ben
presto in un cocente dolore per la
perdita di possesso di quel bene che lui riteneva sua unica ed esclusiva
ragione di vita. Comprendeva ormai che quella donna non gli apparteneva più.
Preso dalla disperazione pensò di poter continuare a possedere quella donna
attraverso la sua arte. Iniziò allora a lavorare giorno e notte ad un busto in
marmo di Costanza che in tal modo sarebbe
appartenuta a lui per tutta l’eternità, sebbene solo attraverso una scultura di
marmo. E la raffigurò come tante volte l’aveva vista durante i loro incontri
amorosi: con i capelli scompigliati, le labbra leggermente socchiuse, la
camicia da notte leggermente aperta a
lasciar intuire le morbide forme del suo corpo. Concluse il busto in una sola
settimana di febbrile lavoro e poi si mise ad adorarlo e a contemplarlo,
abbracciandolo più volte e baciandolo anche appassionatamente. Ma ben
presto si rese conto che la freddezza
marmorea di quel simulacro non poteva affatto sostituire il calore vivo di
quella donna che sentiva irrimediabilmente
e definitivamente lontana da lui. Il tentativo di continuare a possedere
l’amore di Costanza attraverso la scultura fallì così miseramente e a questo
punto un’ira e un’indignazione sempre più
forti si impadronirono dell’animo di Gian Lorenzo. “Vendetta sì,
tremenda vendetta” cominciò a sussurrargli una
maligna voce interiore sempre più forte e insistente. Decise allora di
vendicarsi in primo luogo di quel fedifrago di suo fratello, che incurante
della lealtà fraterna gli aveva sottratto quel bene di impareggiabile valore.
Si armò di un bastone e corse ad aspettarlo fuori casa. Non appena lo vide gli
urlò contro tutte le minacce e le cattiverie che gli vennero in mente,
brandendo con furiosa disperazione quell’arma impropria. Luigi, non appena ebbe
visto il fratello in quelle condizioni ferine, si dette ad una fuga precipitosa
ed entrò affrettatamente nella basilica di
Santa Maria Maggiore. Ma neppure la sacralità di quel luogo riuscì a
calmare l’ira di Gian Lorenzo, che entrato
in quel luogo sacro, raggiunse il fratello nei pressi dell’altar
maggiore ed iniziò a bastonarlo furiosamente. E l’avrebbe certamente ucciso, se
alcuni preti della basilica non fossero intervenuti a disarmarlo e ad
allontanarlo a forza; in tal modo Luigi
se la cavò per il rotto della cuffia e salvò la pelle, riportando tuttavia la
rottura di alcune costole. La notizia della furiosa escandescenza di Gian
Lorenzo si sparse in un baleno per tutta Roma, raggiunse anche la madre di Gian
Lorenzo e di Luigi, Angelica che
prontamente pensò di scrivere al cardinale
Francesco Barberini
raccontandogli l’accaduto e chiedendogli di mandare in esilio quel
figlio furioso che aveva tentato di
uccidere il proprio fratello addirittura in uno dei luoghi più sacri di tutta
la cristianità. Il cardinale mandò in primo luogo alcuni servitori a casa di
Gian Lorenzo affinché lo calmassero e gli impedissero di agire ulteriormente in modo violento. E il
cardinale si dimostrò veramente saggio, infatti Gian Lorenzo tornato nella
propria abitazione, già pensava di vendicarsi anche di Costanza; aveva già dato
ordine ad un suo servitore armato di
rasoio di raggiungerla a Borgo e di sfregiarle il volto. Questo piano selvaggio
e criminoso fu fortunatamente sventato dall’intervento degli uomini del
cardinale, che posero Gian Lorenzo sotto stretta sorveglianza in una sorta di stato di arresto provvisorio,
nell’attesa delle decisioni definitive sul suo conto da parte di papa Urbano
Ottavo. Quest’ultimo avvisato da Francesco dell’accaduto lasciò le sacre stanze
dei palazzi apostolici e si recò velocemente
a palazzo Barberini, per discutere della situazione con il proprio
nipote. Qui gli parve subito impossibile esiliare Gian Lorenzo, del cui talento
artistico aveva assolutamente bisogno per dare lustro al proprio pontificato e
alla cristianità tutta; decise quindi di
esiliare immediatamente il meno utile dei due fratelli, cioè Luigi e convocò
per il giorno successivo Gian Lorenzo al fine di rimettere la testa a posto a
quello sciagurato ma indispensabile scultore. L’indomani Gian Lorenzo, che si
era nel frattempo calmato e che
già paventava le conseguenze dei
propri gesti inconsulti, varcò il portone di palazzo Barberini. Papa Urbano
ottavo sedeva su uno scranno di marmo rivestito dei solenni paramenti sacri
attestanti la dignità del pontefice nel salone di palazzo Barberini, quello
affrescato interamente pochi anni prima da Pietro da Cortona. Gian Lorenzo , salita la scalinata, vide in
fondo alla sala il pontefice in atteggiamento solenne e dal volto irato, si
avvicinò lentamente al papa, e quando fu giunto presso il suo cospetto si
inginocchiò e disse: <Mi inchino reverente di fronte alla santità della
vostra persona che mi onoro da tanti anni di servire> Il papa fece un cenno con
la mano affinché si sollevasse e poi cominciò a parlare in tono aspro:<
Cavalier Bernini, che diavolo mai vi passa per la testa? Tentare di uccidere il
vostro fratello a causa di una relazione clandestina con una donna sposata, e
per di più attentare alla sua vita proprio in uno dei luoghi più sacri e
venerati di tutta la cristianità. Non avete dunque alcun riguardo per le api
che volteggiano in questa sala e che tanto vi hanno beneficato? E non pensate
all’angoscia che avete procurato alla vostra povera madre che in un sol colpo
ha rischiato di perdere le due persone che più ama al mondo: voi e vostro
fratello? Meritereste di passare molti anni della vostra vita in ceppi a Castel
Sant’Angelo!> Gian Lorenzo non rispose, divenne tutto rosso in volto e chinò
il capo in segno di sottomissione. Il papa allora riprese più dolcemente: <
Figliolo, Dio non ha voluto che voi veniste al mondo per rovinare il vostro
talento a causa di un amore sbagliato, adulterino e ciecamente possessivo. Il
mondo purtroppo è spesso cieco e voi vi siete comportato conformemente ad esso.
Dio vi ha chiamato ad una grande impresa: quella di servire la chiesa
attraverso la vostra arte e a questo dovete il fatto che non sarete punito duramente per la vostra condotta irragionevole
e furiosa. Tuttavia dall’alto del mio alto magistero, dato che non intendo
punirvi, cercherò invece di ammaestrarvi. Vi spiegherò dunque la natura del
vostro errore affinché possiate meditare e pentirvi nell’intimo per la vostra
sciagurata condotta. Varie sono le specie di amore che l’Eterno ha creato. In
primo luogo l’amore di Dio per tutte le sue creature, esso è Caritas, ed è simile ad una luce benigna
che dall’alto tutto investe gratuitamente senza nulla chiedere in cambio. A
codesto amore la creatura deve rispondere con l’amore nei confronti del proprio
creatore. Questo è l’unico tipo di amore assoluto. Esiste poi un secondo genere
di amore quello della creatura per le altre creature. Ebbene questo tipo
d’amore, celebrato e magnificato ingenuamente da tutta la nostra poesia, è un
amore del tutto imperfetto e come accade a tutte le cose di questo mondo, non è
un bene assoluto, ma un misto di bene e di male. La gran parte degli uomini vedono in esso
solo un grande bene, e questo può essere vero nella misura in cui esso proceda
bene e sia ricambiato. Ma nel momento in cui subentri la perdita del bene
agognato, nel momento in cui venga meno il possesso della cosa amata, ecco che
questo amore si trasforma facilmente nel suo contrario e può diventare odio e
cieco furore. Aveva ragione il vecchio Eraclito a sostenere l’unità dei
contrari! Chi non conosce la sventurata Medea che dopo essere stata abbandonata
da Giasone, trasformò il suo amore in odio e spinse la sua cieca furia al punto
da commettere l’odiato crimine dell’uccisione dei propri figli per vendicarsi dell’abbandono subito? La
maggior parte degli uomini ritengono che questi atti criminosi commessi in nome
dell’amore non li riguardino affatto, siano atti mostruosi nati da menti
perverse, ma forse il male è sempre in agguato in ogni creatura a causa della
sua intrinseca debolezza ed anche all’uomo più ragionevole può capitare di
commettere atti terribili e sconsiderati. Ciò è proprio quello che è accaduto a voi, mio
caro cavalier Bernini. Le cose sono maledettamente assai più complicate di come
le si descrivono comunemente. Qui può soccorrere l’insegnamento degli antichi
da me sempre studiati e venerati. Occorre sempre grande vigilanza e un non
facile equilibrio e una impegnativa riflessione. L’amore passionale che
comporta il possesso e la dipendenza dall’oggetto amato secondo il venerabile
Crisippo è una passione del tutto sconsiderata che va estirpata dall’animo. Ma
forse ciò è irrealizzabile e tale tesi la si può applicare solo all’inesistente
saggio stoico, più che ai concreti esseri umani. Anche secondo Lucrezio questo
amore passionale e possessivo va condannato e sostituito dalla ricerca del puro
piacere, da quella che lui chiama pura
voluptas. Non crediate però che io mi faccia portavoce di questa tesi che
porterebbe al puro libertinaggio e sarebbe quindi lontana dalla vera dottrina
delle nostre scritture. Voglio darvi un consiglio pratico, caro cavalier
Bernini. Abbandonate le relazioni troppo passionali che il più delle volte sono
relazioni adulterine e prendetevi una
moglie. Amate questa moglie di un amore equilibrato e razionale che possa
portare alla nascita di figli ad maiorem gloriam Dei et Romanae Ecclesiae.
Un amore che non sia ossessivo e
possessivo, e che nel corso del tempo, che inevitabilmente logora e distrugge ogni cosa, sia atto a
trasformarsi in affetto e autentica amicizia. Un amore di tal fatta, pronto ad
adattarsi alle contingenze della vita, è molto improbabile possa trasformarsi,
di fronte alla perdita del possesso dell’amata, nel suo contrario e sfociare in
atti di odio e violenza, come quelli che voi avete compiuto, anche se
fortunatamente voi non vi siete spinto fino all’irreparabile. Ricordate sempre,
amatissimo figliuolo, l’ epigrafe che quando fui cardinale apposi nel basamento
della vostra scultura di Apollo che insegue Dafne:” Chiunque segue le gioie del piacere, acceccato dal desiderio e dal
possesso dell’amante, si ritrova con la mano piena di foglie e di bacche amare”.>
Così dunque parlò il coltissimo Maffeo Barberini. Gian Lorenzo uscì da quella
udienza profondamente riconfortato e deciso a rinunciare ad un amore troppo
fortemente possessivo, sinceramente pentito delle proprie azioni sconsiderate e
malvagie. Regalò subito ai Medici il busto in marmo di Costanza Bonarelli,
anche se tenne per sé segretamente un
bozzetto in terracotta di quel busto, che negli anni successivi ancora gli
accadde talvolta di contemplare furtivamente. Decise inoltre di seguire
il consiglio del Papa di sposarsi e amò per il resto della propria vita la sua
compagna di quell’amore equilibrato e non eccessivo di cui gli aveva parlato il pontefice. Qualche
lettore si chiederà che cosa accadde a Costanza, denunciata come adultera,
venne condannata e passò qualche mese in prigione; riottenuta la libertà
proseguì la sua attività di mercante e
continuò i suoi amori clandestini come se nulla fosse accaduto.
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