E'
un grande piacere per me dedicare un post ad un grande musicista come
Haydn, la sua musica rappresenta infatti il miglior antidepressivo
naturale che io conosca, ed invito tutti ad ascoltarla e ad amarla
perché ne vale sicuramente la pena: non si può non sorridere di
fronte alla bellezza e all'arguzia delle invenzioni haydniane che ti
si palesano all'orecchio come un vero e proprio “riso
dell'universo”. Haydn è probabilmente uno dei musicisti più
sottovalutati della storia della musica, probabilmente perché si
trova un po' schiacciato tra i due giganti drammatici Mozart e
Beethoven. Nato nel 1732 a Rohrau nel 1761 passò al servizio di casa
Esterhazy prima del principe Paul Anton e poi del fratello Nicolaus
il Magnifico. Amico di Mozart divenne ben presto celebre in tutta
Europa e nel 1790 accettò l'invito dell'impresario Salomon e si recò
a Londra per dirigere un gruppo di sinfonie composte appositamente
per quell'occasione. Di nuovo a Londra nel 1794-1795 tornò poi a
Vienna dove morì nel 1809 celebre in tutta Europa. Il catalogo della
produzione haydniana è vastissimo, passo qui in rassegna le opere
principali. Haydn scrisse ben 108 sinfonie tra il 1759 e il 1795, le
prime 81 composte per l'organico ridotto dell'orchestra degli
Esterhazy, mentre le n° 82-87 vennero composte per Parigi (la n° 85
“La reine” è tra le mie preferite) e le n° 93-104 per Londra
(le londinesi). Dal punto di vista della musica da camera Haydn
scrisse 52 sonate per pianoforte 31 trii per pianoforte, una gran
quantità di composizioni per viola baryton, uno strumento assai amato
dal principe Nicolaus Esterhazy che ne era assai appassionato.
Vertice della produzione cameristica sono senz'altro i quartetti per
archi in numero di 83. Tra i più noti vi sono i 6 quartetti op 20,
i 6 quartetti russi op. 33 (composti in uno stile assolutamente
nuovo a dire dello stesso Haydn), i 6 quartetti prussiani op. 50, i 6
quartetti op.64, i 6 quartetti op. 76, la raccolta da me più amata e
di cui magari avrò occasione di riparlare. Numerose le opere
teatrali (ll
mondo della luna, L'infedeltà delusa, L'incontro Improvviso)
le messe (tra cui Missa
Sanctae Caecilae, Missa in tempore Belli, Theresien Messe)
gli oratori (Ritorno
di Tobia, La creazione, Le stagioni quest'ultimo
a volte criticato ingiustamente per il suo facile descrittivismo).
Segnalo particolarmente l'opera Le
ultime sette parole di Cristo sulla croce, particolarmente
suggestiva e interessante anche perché di essa ne esistono diverse
versioni: quella per oratorio, quella orchestrale, quella per
quartetto d'archi e quella per fortepiano. Ciò che di peculiare v'è
nella musica di Haydn mi sembra sia la presenza di un linguaggio
musicale autonomo in grado di competere alla pari con il comune
linguaggio verbale. Linguaggio poi approfondito e sviluppato da
Mozart e Beethoven. Auguro a tutti di cuore ore liete e serene in
compagnia della musica di papà Haydn.
giovedì 22 novembre 2018
OMAGGIO ALLE LEZIONI DI MUSICA DI RADIOTRE
Segnalo
a tutti gli appassionati di musica che ancora non le conoscessero, o
a coloro che volessero avvicinarsi al mondo della musica classica le
lezioni che ormai gìà da alcuni anni Radiotre offre ai suoi
ascoltatori. Motore di queste lezioni è Giovanni Bietti, la cui
passione e capacità di spiegazione sono davvero magistrali. Ho
imparato molto da queste lezioni, esse sono una bellissima chiave che
porta anche un profano come me, che sono un semplice appassionato
musicofilo, ad un ascolto della musica enormemente più ricco e
consapevole.
OMAGGIO AL TEATRO ARGENTINA DI ROMA.
Vorrei
segnalare a tutti gli appassionati di archeologia e di mondo antico
le bellissime conferenze che si trovano su You Tube “Luce
sull'archeologia.” Che queste conferenze si tengano proprio nei
presi della Curia
Pompei,
a pochi passi da dove venne ucciso Giulio Cesare lo trovo un fatto
particolarmente bello e commovente. Davvero una bellissima
iniziativa, non solo per coloro che hanno la fortuna di poter essere
presenti in teatro ed assistere alle conferenze dal vivo, ma anche
per tutti coloro che, non essendo presenti a Roma, hanno la fortuna
di poterle visionare online. Esperti di storia e di archeologia come
ad esempio il prof. Eugenio La Rocca o il prof. Luciano Canfora o il
prof. Paolo Sommella (per citare solo qualche nome) parlano di storia
e di archeologia in modo preciso coinvolgente e appassionante.
OMAGGIO AL PROFESSOR RENATO PANNUNZIO
Vorrei
omaggiare e ringraziare pubblicamente il prof. Renato Pannunzio che
nel suo corso su You Tube “ Astronomia in pillole” ha presentato
un bellissimo corso di astronomia che tutti gli astrofili possono
liberamente seguire in modo da affinare e approfondire le proprie
conoscenze in campo astronomico. Dobbiamo essere profondamente grati
a coloro che mettono a disposizione il loro sapere al fine di
istruirci sugli argomenti che amiamo. Il corso è così strutturato:
esso comprende essenzialmente una prima parte dedicata ai fondamenti
di astronometria, una parte dedicata alla struttura e alla dinamica
della nostra Galassia, una ricca parte dedicata alla luna e al
sistema solare. Attualmente inoltre il prof. Pannunzio sta dedicando
delle lezioni alle basi fisiche e matematiche per permetterci di
fruire al meglio del suo corso “Astronomia in pillole”. Buona
visione a tutti gli astrofili amanti dei cieli e degli oggetti
affascinanti che li popolano.
IL PROBLEMA DEL SOLIPSISMO
Partirò
da una definizione di cosa sia il solipsismo. L'enciclopedia Bompiani
di filosofia lo definisce così:”E' la dottrina filosofica secondo
la quale il soggetto pensante deve, per necessità ad un tempo
razionale ed empirica, affermare con certezza evidente la realtà di
se stesso, in quanto è pensante, ma solamente di se stesso.” Il
solipsista è dunque convinto che esista solamente la sua coscienza e
i contenuti della sua coscienza, quanto agli altri nulla di certo si
può dire: potrebbero essere semplicemente dei manichini abbigliati
come noi ma nulla di più (questa diciamo “strana fantasia”
appare nelle Meditazioni Metafisiche di Cartesio, all'inizio
della ricostruzione del sapere operata dal filosofo francese). Questa
posizione teoretica comporta evidentemente gravi conseguenze sul
piano pratico perché non può che condurre all'incomunicabilità e
alla chiusura del soggetto in se stesso. Dobbiamo dunque rassegnarci
a restare prigionieri di noi stessi, chiusi all'interno della nostra
coscienza? Dobbiamo dunque rassegnarci metaforicamente a vivere come
il pittore Pontormo ”uomo fantastico e solitario” isolati nella
strana casa della nostra coscienza? (Quel “maledetto io” contro
cui si scagliava lo scrittore Carlo Emilio Gadda.) Lo confesso
francamente: in certi momenti della mia vita l'ho quasi pensato, e
ciò mi ha portato probabilmente a una certa difficoltà comunicativa
e relazionale con gli altri. Mi ha risvegliato da questo sonno
dogmatico solipsista Arthur Schopenhauer il quale sostiene che il
solipsismo (egoismo teoretico) pur essendo inconfutabile con
argomenti razionali si può però ”ritrovare solamente nel
manicomio”, dove non ha bisogno di argomenti per confutarlo, ma
di “cure” per guarirlo. Dunque davvero ha ragione
Wittgenstein quando scrive che “il filosofo è un uomo che deve
guarire da molte malattie dell'intelletto, prima di poter giungere
alle convinzioni del senso comune.” Ma forse nella posizione
solipsistica c'è molto di più di una semplice malattia mentale
bisognosa di cure. E proprio riflettendo su Wittgenstein provo a dare
la mia interpretazione del solipsismo. Si tratta di una libera
interpretazione che non vuole essere filologica di quello che egli
scrive a proposito del solipsismo. Nel suo Tractatus alla
proposizione 5.62 egli scrive una frase particolarmente enigmatica:”
Ciò che il solipsismo intende è del tutto corretto; solo non si
può dire,
ma mostra sè”(sottolineature
mie). E proprio riprendendo l'opposizione tra dire e mostrare
caratteristica della filosofia del Tractatus
di Wittgenstein io provo a dare la mia interpretazione del
solipsismo. Come posizione filosofica teoretica che afferma (dice)
l'esistenza dei soli contenuti di coscienza del nostro io e che
dunque porta allo scetticismo e alla chiusura verso il mondo e gli
altri il solipsismo è del tutto privo di senso ed è assolutamente
da respingere. Però questa proposizione non è un semplice non senso
assoluto, non è un insieme di parole insignificanti come “casa,
allora, forse”; il solipsismo penso mostri qualcosa di molto importante e di radicale sulla nostra condizione di
esseri umani attualmente esistenti. La posizione solipsitica mostra
che nasciamo soli e moriamo soli, nel senso che nessuno può vivere
la vita e neppure la morte di un'altra persona. Esiste quindi una
distanza dagli altri che è incolmabile. In un senso profondo e
radicale possiamo dire allora con Sartre che davvero “Siamo
soli, senza scuse”. Direi
che il solipsismo mostra
la precarietà, se volete il carattere drammatico della nostra
esistenza di esseri umani; mostra
la fragilità del nostro essere, mostra
che anche il rapporto con gli altri ha dei limiti radicali, nella
misura in cui è impossibile annullare la distanza ontologica che ci
separa dalle altre persone. Metaforicamente direi che tutti noi
viviamo quotidianamente come appesi al seggiolino di una seggiovia,
ed ognuno occupa il proprio posto senza poter occupare assolutamente
quello dell'altro, ma anche da questa posizione propria di ciascuno
di noi possiamo tranquillamente parlarci, interagire, affezionarci
l'un l'altro senza rimanere necessariamente e completamente
prigionieri di noi stessi.
domenica 4 novembre 2018
DENARIO DI ADRIANO
La nuova moneta che vi presento è un altro denario dell'imperatore Adriano (Cohen 374 tomo II pag 138):Sul dritto è raffigurato l'imperatore sulla base però di un ritratto differente rispetto alla moneta precedente, l'inscriptio è HADRIANUS AUGUSTUS; sul rovescio la libertas che stavolta è raffigurata in piedi con il cappello e lo scettro e la scritta COS III (console per la terza volta) Questa moneta è catalogata al numero 175 del volume terzo di The Roman Imperial Coinage pag 360. Sulla base della titolatura e del ritratto imperiale Harold Mattingly la cataloga come successiva alla precedente, appartenente ad un periodo compreso tra il tardo 125 e l'inizio del 128 d.C.
RACCONTO: COSTANZA BONARELLI
COSTANZA
BONARELLI
Nel 1638
Costanza Bonarelli era una graziosa ragazza
di circa trent’anni che viveva con il marito scultore Matteo Bonarelli
nel quartiere di Borgo nei pressi del Vaticano. Colta e intelligente, di
raffinata discendenza aristocratica, era infatti strettamente imparentata con
il ramo viterbese dei Piccolomini, si guadagnava da vivere facendo la mercante
d’arte di successo, ad esempio recentemente aveva venduto per tremila ducati
numerose tele di Nicolas Poussin al temibile cardinale di Richelieu, eminenza
grigia del re Luigi XIII. Abituata a trattare alla pari con nobili, papi e cardinali
Costanza amava la vita e benché fosse una donna sposata era sempre pronta a
intrecciare relazioni amorose passionali e spregiudicate, per di più spesso
utili alla sua attività economica. Da due anni amava appassionatamente Gian
Lorenzo Bernini, che per lei aveva perso letteralmente la testa. Si vociferava
a Roma, con grande scandalo dei benpensanti, che Gian Lorenzo trascorresse
ormai molto più tempo ad amoreggiare con lei
nella sua casa di Borgo di quanto ne passasse in San Pietro per portare
avanti le numerose commissioni scultoree che papa Urbano ottavo gli aveva
affidato. Gian Lorenzo la amava di un amore violento e passionale e non faceva
altro per tutta la giornata che pensare a lei; tutta la sua vita ruotava ormai
intorno a quella donna, il desiderio di averla sempre con sé , l’insistente
presenza dell’immagine di quella donna che gli portava alla mente la dolcezza
di quei continui incontri furtivi, dominava ormai completamente l’animo di Gian
Lorenzo. “Costanza io amo, per Costanza impazzisco, per Costanza m’incanto”
ripeteva continuamente il grande scultore dentro di sé. Completamente dominato dal desiderio verso
quella donna Gian Lorenzo non desiderava altro ormai che averla sempre
esclusivamente tutta per sé. Ma una mattina di inizio estate del 1638, Gian
Lorenzo, passando per caso nei pressi della casa di suo fratello minore Luigi,
nei pressi di Santa Bibiana, vide Costanza uscire dalla porta di quella
abitazione con i capelli scomposti e lo sguardo assonnato. Non gli ci volle
molto per comprendere ciò che era accaduto nel segreto delle stanze di quella
dimora, e così quell’incanto amoroso svanì di colpo. Gian Lorenzo comprese che
quella donna da lui tanto amata e agognata non gli apparteneva affatto in modo esclusivo
come lui aveva sempre immaginato e fantasticato. Lei lo tradiva spudoratamente
e per di più lo tradiva con il suo amatissimo fratello Luigi! Doppio tradimento
dunque. Il sentimento appassionato verso quella donna mutò improvvisamente e
sottili inquietudini si impadronirono del suo animo. Esse si trasformarono ben
presto in un cocente dolore per la
perdita di possesso di quel bene che lui riteneva sua unica ed esclusiva
ragione di vita. Comprendeva ormai che quella donna non gli apparteneva più.
Preso dalla disperazione pensò di poter continuare a possedere quella donna
attraverso la sua arte. Iniziò allora a lavorare giorno e notte ad un busto in
marmo di Costanza che in tal modo sarebbe
appartenuta a lui per tutta l’eternità, sebbene solo attraverso una scultura di
marmo. E la raffigurò come tante volte l’aveva vista durante i loro incontri
amorosi: con i capelli scompigliati, le labbra leggermente socchiuse, la
camicia da notte leggermente aperta a
lasciar intuire le morbide forme del suo corpo. Concluse il busto in una sola
settimana di febbrile lavoro e poi si mise ad adorarlo e a contemplarlo,
abbracciandolo più volte e baciandolo anche appassionatamente. Ma ben
presto si rese conto che la freddezza
marmorea di quel simulacro non poteva affatto sostituire il calore vivo di
quella donna che sentiva irrimediabilmente
e definitivamente lontana da lui. Il tentativo di continuare a possedere
l’amore di Costanza attraverso la scultura fallì così miseramente e a questo
punto un’ira e un’indignazione sempre più
forti si impadronirono dell’animo di Gian Lorenzo. “Vendetta sì,
tremenda vendetta” cominciò a sussurrargli una
maligna voce interiore sempre più forte e insistente. Decise allora di
vendicarsi in primo luogo di quel fedifrago di suo fratello, che incurante
della lealtà fraterna gli aveva sottratto quel bene di impareggiabile valore.
Si armò di un bastone e corse ad aspettarlo fuori casa. Non appena lo vide gli
urlò contro tutte le minacce e le cattiverie che gli vennero in mente,
brandendo con furiosa disperazione quell’arma impropria. Luigi, non appena ebbe
visto il fratello in quelle condizioni ferine, si dette ad una fuga precipitosa
ed entrò affrettatamente nella basilica di
Santa Maria Maggiore. Ma neppure la sacralità di quel luogo riuscì a
calmare l’ira di Gian Lorenzo, che entrato
in quel luogo sacro, raggiunse il fratello nei pressi dell’altar
maggiore ed iniziò a bastonarlo furiosamente. E l’avrebbe certamente ucciso, se
alcuni preti della basilica non fossero intervenuti a disarmarlo e ad
allontanarlo a forza; in tal modo Luigi
se la cavò per il rotto della cuffia e salvò la pelle, riportando tuttavia la
rottura di alcune costole. La notizia della furiosa escandescenza di Gian
Lorenzo si sparse in un baleno per tutta Roma, raggiunse anche la madre di Gian
Lorenzo e di Luigi, Angelica che
prontamente pensò di scrivere al cardinale
Francesco Barberini
raccontandogli l’accaduto e chiedendogli di mandare in esilio quel
figlio furioso che aveva tentato di
uccidere il proprio fratello addirittura in uno dei luoghi più sacri di tutta
la cristianità. Il cardinale mandò in primo luogo alcuni servitori a casa di
Gian Lorenzo affinché lo calmassero e gli impedissero di agire ulteriormente in modo violento. E il
cardinale si dimostrò veramente saggio, infatti Gian Lorenzo tornato nella
propria abitazione, già pensava di vendicarsi anche di Costanza; aveva già dato
ordine ad un suo servitore armato di
rasoio di raggiungerla a Borgo e di sfregiarle il volto. Questo piano selvaggio
e criminoso fu fortunatamente sventato dall’intervento degli uomini del
cardinale, che posero Gian Lorenzo sotto stretta sorveglianza in una sorta di stato di arresto provvisorio,
nell’attesa delle decisioni definitive sul suo conto da parte di papa Urbano
Ottavo. Quest’ultimo avvisato da Francesco dell’accaduto lasciò le sacre stanze
dei palazzi apostolici e si recò velocemente
a palazzo Barberini, per discutere della situazione con il proprio
nipote. Qui gli parve subito impossibile esiliare Gian Lorenzo, del cui talento
artistico aveva assolutamente bisogno per dare lustro al proprio pontificato e
alla cristianità tutta; decise quindi di
esiliare immediatamente il meno utile dei due fratelli, cioè Luigi e convocò
per il giorno successivo Gian Lorenzo al fine di rimettere la testa a posto a
quello sciagurato ma indispensabile scultore. L’indomani Gian Lorenzo, che si
era nel frattempo calmato e che
già paventava le conseguenze dei
propri gesti inconsulti, varcò il portone di palazzo Barberini. Papa Urbano
ottavo sedeva su uno scranno di marmo rivestito dei solenni paramenti sacri
attestanti la dignità del pontefice nel salone di palazzo Barberini, quello
affrescato interamente pochi anni prima da Pietro da Cortona. Gian Lorenzo , salita la scalinata, vide in
fondo alla sala il pontefice in atteggiamento solenne e dal volto irato, si
avvicinò lentamente al papa, e quando fu giunto presso il suo cospetto si
inginocchiò e disse: <Mi inchino reverente di fronte alla santità della
vostra persona che mi onoro da tanti anni di servire> Il papa fece un cenno con
la mano affinché si sollevasse e poi cominciò a parlare in tono aspro:<
Cavalier Bernini, che diavolo mai vi passa per la testa? Tentare di uccidere il
vostro fratello a causa di una relazione clandestina con una donna sposata, e
per di più attentare alla sua vita proprio in uno dei luoghi più sacri e
venerati di tutta la cristianità. Non avete dunque alcun riguardo per le api
che volteggiano in questa sala e che tanto vi hanno beneficato? E non pensate
all’angoscia che avete procurato alla vostra povera madre che in un sol colpo
ha rischiato di perdere le due persone che più ama al mondo: voi e vostro
fratello? Meritereste di passare molti anni della vostra vita in ceppi a Castel
Sant’Angelo!> Gian Lorenzo non rispose, divenne tutto rosso in volto e chinò
il capo in segno di sottomissione. Il papa allora riprese più dolcemente: <
Figliolo, Dio non ha voluto che voi veniste al mondo per rovinare il vostro
talento a causa di un amore sbagliato, adulterino e ciecamente possessivo. Il
mondo purtroppo è spesso cieco e voi vi siete comportato conformemente ad esso.
Dio vi ha chiamato ad una grande impresa: quella di servire la chiesa
attraverso la vostra arte e a questo dovete il fatto che non sarete punito duramente per la vostra condotta irragionevole
e furiosa. Tuttavia dall’alto del mio alto magistero, dato che non intendo
punirvi, cercherò invece di ammaestrarvi. Vi spiegherò dunque la natura del
vostro errore affinché possiate meditare e pentirvi nell’intimo per la vostra
sciagurata condotta. Varie sono le specie di amore che l’Eterno ha creato. In
primo luogo l’amore di Dio per tutte le sue creature, esso è Caritas, ed è simile ad una luce benigna
che dall’alto tutto investe gratuitamente senza nulla chiedere in cambio. A
codesto amore la creatura deve rispondere con l’amore nei confronti del proprio
creatore. Questo è l’unico tipo di amore assoluto. Esiste poi un secondo genere
di amore quello della creatura per le altre creature. Ebbene questo tipo
d’amore, celebrato e magnificato ingenuamente da tutta la nostra poesia, è un
amore del tutto imperfetto e come accade a tutte le cose di questo mondo, non è
un bene assoluto, ma un misto di bene e di male. La gran parte degli uomini vedono in esso
solo un grande bene, e questo può essere vero nella misura in cui esso proceda
bene e sia ricambiato. Ma nel momento in cui subentri la perdita del bene
agognato, nel momento in cui venga meno il possesso della cosa amata, ecco che
questo amore si trasforma facilmente nel suo contrario e può diventare odio e
cieco furore. Aveva ragione il vecchio Eraclito a sostenere l’unità dei
contrari! Chi non conosce la sventurata Medea che dopo essere stata abbandonata
da Giasone, trasformò il suo amore in odio e spinse la sua cieca furia al punto
da commettere l’odiato crimine dell’uccisione dei propri figli per vendicarsi dell’abbandono subito? La
maggior parte degli uomini ritengono che questi atti criminosi commessi in nome
dell’amore non li riguardino affatto, siano atti mostruosi nati da menti
perverse, ma forse il male è sempre in agguato in ogni creatura a causa della
sua intrinseca debolezza ed anche all’uomo più ragionevole può capitare di
commettere atti terribili e sconsiderati. Ciò è proprio quello che è accaduto a voi, mio
caro cavalier Bernini. Le cose sono maledettamente assai più complicate di come
le si descrivono comunemente. Qui può soccorrere l’insegnamento degli antichi
da me sempre studiati e venerati. Occorre sempre grande vigilanza e un non
facile equilibrio e una impegnativa riflessione. L’amore passionale che
comporta il possesso e la dipendenza dall’oggetto amato secondo il venerabile
Crisippo è una passione del tutto sconsiderata che va estirpata dall’animo. Ma
forse ciò è irrealizzabile e tale tesi la si può applicare solo all’inesistente
saggio stoico, più che ai concreti esseri umani. Anche secondo Lucrezio questo
amore passionale e possessivo va condannato e sostituito dalla ricerca del puro
piacere, da quella che lui chiama pura
voluptas. Non crediate però che io mi faccia portavoce di questa tesi che
porterebbe al puro libertinaggio e sarebbe quindi lontana dalla vera dottrina
delle nostre scritture. Voglio darvi un consiglio pratico, caro cavalier
Bernini. Abbandonate le relazioni troppo passionali che il più delle volte sono
relazioni adulterine e prendetevi una
moglie. Amate questa moglie di un amore equilibrato e razionale che possa
portare alla nascita di figli ad maiorem gloriam Dei et Romanae Ecclesiae.
Un amore che non sia ossessivo e
possessivo, e che nel corso del tempo, che inevitabilmente logora e distrugge ogni cosa, sia atto a
trasformarsi in affetto e autentica amicizia. Un amore di tal fatta, pronto ad
adattarsi alle contingenze della vita, è molto improbabile possa trasformarsi,
di fronte alla perdita del possesso dell’amata, nel suo contrario e sfociare in
atti di odio e violenza, come quelli che voi avete compiuto, anche se
fortunatamente voi non vi siete spinto fino all’irreparabile. Ricordate sempre,
amatissimo figliuolo, l’ epigrafe che quando fui cardinale apposi nel basamento
della vostra scultura di Apollo che insegue Dafne:” Chiunque segue le gioie del piacere, acceccato dal desiderio e dal
possesso dell’amante, si ritrova con la mano piena di foglie e di bacche amare”.>
Così dunque parlò il coltissimo Maffeo Barberini. Gian Lorenzo uscì da quella
udienza profondamente riconfortato e deciso a rinunciare ad un amore troppo
fortemente possessivo, sinceramente pentito delle proprie azioni sconsiderate e
malvagie. Regalò subito ai Medici il busto in marmo di Costanza Bonarelli,
anche se tenne per sé segretamente un
bozzetto in terracotta di quel busto, che negli anni successivi ancora gli
accadde talvolta di contemplare furtivamente. Decise inoltre di seguire
il consiglio del Papa di sposarsi e amò per il resto della propria vita la sua
compagna di quell’amore equilibrato e non eccessivo di cui gli aveva parlato il pontefice. Qualche
lettore si chiederà che cosa accadde a Costanza, denunciata come adultera,
venne condannata e passò qualche mese in prigione; riottenuta la libertà
proseguì la sua attività di mercante e
continuò i suoi amori clandestini come se nulla fosse accaduto.
sabato 3 novembre 2018
DENARIO DI ADRIANO
La moneta che presento in questo post e' un denario dell'imperatore Adriano il grande viaggiatore filelleno. (Cohen 906 tomo II a pag 181) Sul dritto della moneta è raffigurato l'imperatore con la inscriptio IMP.CAESAR.TRAIAN.HADRIANUS AUG. Sul rovescio la Libertas seduta a sinistra con il berretto e lo scettro con sotto la scritta LIB.PUB. Intorno la scritta P.M TR (P) COS III. Questa moneta è catalogata al numero 128 di The Roman Imperial Coinage vol. 3 pag 355. Appartiene ad una coniazione del terzo consolato (119 d.C, tutte le coniazioni successive a questa data (119-138) appartengono al terzo consolato, dato che l'imperatore non rivestì più questa carica negli anni successivi, di qui la difficoltà di ottenere una successione cronologica convincente delle numerose coniazioni successive attraverso l'analisi della titolatura imperiale e l'analisi delle tipologie dei ritratti imperiali) dell'imperatore e più precisamente il Mattingly la data, vista la titolatura imperiale (compare ancora il nome di Traiano, quindi è vicina all'adozione di Adriano da parte di questo sovrano) e il tipo del ritratto dell'imperatore, tra il 119 e il 122 d.C
venerdì 23 febbraio 2018
SESTERZIO DI FAUSTINA MAGGIORE
La moneta che vi presento in questo post è un sesterzio che raffigura Faustina I (Maggiore) la moglie di Antonino Pio (Cohen 210 tomo II a pag.430) nonchè madre di Anna Galeria Faustina, moglie di Marco Aurelio (Faustina Minore). Sul dritto abbiamo l'immagine dell'imperatrice e l'inscriptio DIVA FAUSTINA, sul rovescio è raffigurata Giunone con la patera e lo scettro con la scritta IUNO (la “I”è abrasa in questo esemplare) e SC (Senatusconsulto). Questa moneta è catalogata in The Roman Imperial Coinage vol 3 al numero 1143 a pag.165.Si tratta di una moneta posteriore al 141, dato che Faustina è chiamata “diva”: dunque di una coniazione post mortem. Questa moneta è connessa ad una celebre iscrizione assai nota che si trova nel Foro Romano sull'architrave del tempio di Antonino e Faustina DIVO ANTONINO ET DIVA FAUSTINA EX S.C. La defunta Faustina è associata ad una grande quantità di divinità e personificazioni nelle coniazioni a lei destinate dal marito (Vesta, Giunone, Venere, Eternità, Concordia Etc.. Roman Imperial Coinage III, pag 67-77 e 157-170)
lunedì 12 febbraio 2018
RACCONTO: UN NUOVO FRAMMENTO DEL VANGELO DI SAN MARCO
Sono lieto di pubblicare sul mio blog un altro piccolo mio racconto, rimasto indedito ispirato al vangelo di San Marco
UNA NUOVA VERSIONE DEL
PASSO DI MARCO SUL GIOVANE RICCO (Mc 19, 21-25), DA UN FRAMMENTO
PAPIRACEO RECENTEMENTE RISCOPERTO.
Presento
qui all'attenzione dei dotti un nuovo frammento papiraceo del vangelo
di Marco da me rinvenuto nel deserto del Sinai. Questo il testo:
”...Gesù a lui: ‹Se vuoi
essere perfetto, va', vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai
un tesoro in cielo: poi vieni e seguimi›. All'udir ciò il giovane
se ne andò triste, poichè aveva molti beni. Gesù disse ai
discepoli: ‹In verità vi dico: difficilmente un ricco entrerà nel
regno dei cieli. Due
infatti sono le categorie di uomini che vivono nel mondo: coloro che
sono secondo la carne, immersi nelle cose, tesi solo a possedere e ad
accumulare oggetti e per così dire cosificati; e coloro che invece
vivono secondo lo spirito, del tutto abitanti nell'uomo interiore e
perciò proiettati verso il divino.
Ancora vi dico: ‹ È più facile che una fune entri nella cruna di
un ago, che il
primo genere di uomini entri nel regno di Dio›...”
Ed ora qualche nota interpretativa: i passi che ho riportato in
corsivo rappresentano un' aggiunta al testo tramandatoci, di essi non
vi è traccia nei brani paralleli degli altri vangeli sinottici
concernenti il giovane ricco (Lc 18,18-30 e Mt 19,16-28); ciò mi
sembra indicare che questi versetti non appartengano alla tradizione
della fonte Q. La distinzione tra uomini che vivono secondo la carne
e uomini che vivono secondo lo spirito mi sembra derivare da san
Paolo: dunque questo eccezionale frammento testimonierebbe una
versione del testo evangelico elaborata in ambienti paolini. Segnalo
questo testo ai contemporanei: infatti nella società industriale le
persone sono sempre più dominate dal consumismo, a detrimento della
spiritualità.
Prof.
Julius Wellhausen 1910
L'astrofilo filosofo
domenica 11 febbraio 2018
RACCONTO: LA VOCAZIONE DI MATTEO
Sono lieto di pubblicare sul mio blog questo racconto apparso qualche anno fa in antologia
LA
VOCAZIONE DI MATTEO (Mt 9,9)
Trascorreva
abitualmente le sue serate nei locali alla moda di Campo dei Fiori.
Ma da alcuni mesi sentiva dentro si sé un sempre più profondo
disagio verso la vacuità di quelle nottate, caratterizzate da un
inutile pellegrinaggio attraverso chiassosi locali, popolati da gente
alienata intenta alle consuete bevute e alle vane chiacchere. I
compagni della brigata non riconoscevano più il loro amico Matteo e
temevano fosse depresso: se ne stava infatti sempre in disparte
pensoso ed estraniato, indifferente alla loro presenza. Neppure
Matteo riusciva fino in fondo a comprendere cosa gli stesse
accadendo. Ma una sera, mentre si trovava nei pressi di piazza
Navona, sentì il desiderio di entrare nella chiesa di San Luigi dei
Francesi. Una misteriosa forza interiore gli fece percorrere tutta
la navata centrale, finchè si trovò di fronte all'ultima cappella
di sinistra della chiesa, la celebre cappella Contarelli. Qui vide
subito tre famose tele del Caravaggio: al centro, sopra l'altare tra
due colonne, San Matteo e l'Angelo,
a destra il Martirio di San Matteo e
a sinistra la Vocazione di San
Matteo. Soprattutto questo
dipinto attirò la sua attenzione. Osservò attentamente Cristo che
additava sicuro con l'indice della mano destra san Matteo in mezzo a
quella equivoca combriccola. Osservò il volto meravigliato del
santo che, attraverso il gesto dubbioso della mano, si indicava come
improbabile oggetto della chiamata di Gesù. Sentì allora
improvvisamente il desiderio di pregare ma, non ricordandosi le
preghiere che aveva imparato da bambino, fu costretto a comporne una
improvvisando. Accecato da una luce sovrannaturale, sentì
miracolosamente una voce che gli diceva: ”Seguimi!” Matteo allora
comprese, ogni turbamento si dissolse e una sconfinata gioia si
impadronì del suo cuore.
l'Astrofilo filosofo
L'ASSE DI MARCO VIPSANIO AGRIPPA
RECENSIONE:LA STORIA ROMANA DI THEODOR MOMMSEN
Sono assai lieto di ripublicare sul mio blog questa recensione di un libro a me molto caro, apparsa qualche anno fa su una rivista letteraria.
LA
STORIA ROMANA DI THEODOR MOMMSEN
I
Scritta dal grande antichista e studioso di storia romana Theodor
Mommsen (1817-1903) tra il 1854 e il 1856, essa venne pubblicata
dagli editori Weidmann di Berlino e conobbe subito uno straordinario
successo di pubblico,tanto da venire subito ristampata e tradotta
nelle principali lingue europee:in francese nel 1863,in italiano nel
1864. Composta tra la Storia Romana di Bartold Georg
Niebuhr(1776-1831),prima opera storica moderna che si rivolge a una
critica diretta delle fonti, (apparsa in prima stesura nel 1811-1812,
poi rielaborata nel 1827-1828) e la Storia dei Romani in quattro
volumi del nostro Gaetano De Sanctis (professore di storia romana a
Torino e poi a Roma, erede della cattedra di Karl Julius Beloch,di
cui mi piace ricordare qui la Storia Romana apparsa nel 1926);la
Romische Geschichte del Mommsen non è affatto un’opera di mero
interesse antiquario, bensì rappresenta ancora una indispensabile
lettura per tutti coloro che vogliano approfondire la storia romana,
ricca com’è di interessanti e originali intuizioni che offrono al
lettore contemporaneo sempre nuovi spunti di riflessione critica. Si
tratta quindi, come sempre accade ai lavori scritti da grandi
studiosi, di un’opera non defunta,bensì sempre viva nel moderno
dibattito storiografico. Mommsen divide questa storia della Roma
Repubblicana, in cinque diversi libri, contenuti nell’edizione
italiana della Sansoni in due volumi, composti ciascuno di due tomi
per un totale complessivo di 2449 pagine assai dense di contenuti. Il
libro primo,“Dalle origini sino alla cacciata dei re di Roma”, si
occupa della antichissima storia dei romani(capitoli.4-5-6-7) e dei
popoli italici:le popolazioni umbro-sabelliche(c.8), gli
Etruschi(c.9) ,i Greci e i Cartaginesi stanziati in Italia(c.10);
contiene inoltre interessanti capitoli dedicati al diritto romano
(c.11), alla religione romana (c.12), allo sviluppoeconomico dei
primordi(c.13), ai sistemi di misurazione e di scrittura(c.14),ed
all’arte (c.15).Occorre che il lettore leggendo queste pagine tenga
ben presente che,quando Mommsen scriveva alla metà dell’ottocento
questi capitoli, non era ancora nata la moderna indagine archeologica
a Roma(gli scavi nel Foro sono stati iniziati solo nel 1898 da
Giacomo Boni e tutto il materiale accumulatosi da allora,è poi stato
reso disponibile solo a partire dal 1955 nella pregevole opera in sei
volumi dell’archeologo svedese Einar Gjerstad Early Rome)e che lo
studio delle popolazioni italiche preromane era soltanto ai
primordi;ciò rende ancora più straordinario e significativo lo
sforzo di sintesi e l’acutezza dimostrate dal Mommsen nel trattare
tempi remoti e resi oscuri da quel problema che è stata definito da
Aldo Schiavone, nel primo volume della Storia di Roma Einaudi,
come“interdizione della genesi”.( pag.546) Il libro secondo,
intitolato”Dall’abolizione dei re di Roma sino all’unione
dell’Italia”, tratta i temi del passaggio dalla monarchia alla
repubblica (c.1),la secessione dei plebei,la fondazione del tribunato
e il decemvirato(c.2),la ricomposizione del conflitto tra gli ordini
e la formazione della nobilitas patrizio-plebea(c.3), il conflitto
con Veio e l’invasione gallica(c.4),la sottomissione dei Latini e
le guerre sannitiche (c.5-6),la guerra contro Pirro e l’unificazione
dell’Italia (c.7). I restanti capitoli sono dedicati alla storia
culturale, trattando il diritto, la religione,l’arte e la scienza
dell’età medio-repubblicana (c.8 e c.9).In questi due libri quindi
Mommsen esaurisce la trattazione dell’età arcaica e tardo-arcaica
di Roma, quella che per lo stato complesso e confuso delle nostre
fonti è la più ardua da
ricostruire. Con il terzo libro, intitolato “Dall’unione d’Italia
sino alla sottomissione di Cartagine e degli stati Greci”, Mommsen
tratta invece dell’espansione nel Mediterraneo delle repubblica
romana. Dopo essersi soffermato su Cartagine e la sua civiltà(c.1),
Mommsen narra la prima guerra punica (c .2),la guerra illirica e la
guerra contro i Celti dell’Italia settentrionale (c.3),l’espansione
dei Barcidi in Spagna(c.4),la seconda guerra punica e la prima
macedonica (c.5-6),l’espansione in occidente e le guerre contro gli
Iberi(c.7),la seconda guerra macedonica(c.8),la guerra contro Antioco
di Siria(c.9),la terza guerra macedonica(c.10).Concludono questo
libro,come i precedenti ,alcuni capitoli dedicati alla storia della
civiltà romana di questo periodo(c.11-14). Il quarto libro,
intitolato“La rivoluzione”,tratta la guerra numantina(c.1),le
riforme dei Gracchi (c.2-3),la restaurazione antigraccana e la guerra
con Giugurta (c.4),la guerra cimbrica(c.5),i tribunati di Saturnino e
Glaucia(c.6),la guerra sociale (c.7),la prima guerra
mitridatica(c.8),Cinna e Silla(c.9),la costituzione sillana
(c.10),infine gli aspetti culturali dell’età graccana e sillana
(c.11-13).L’ultimo libro,il quinto, intitolato “La fondazione
della monarchia militare”, concerne l’estrema età
tardo-repubblicana:Marco Lepido e Quinto Sertorio(c.1),la
restaurazione sillana e Lucullo (c.2), l’emergere di Pompeo(c.3), le
campagne militari di Pompeo in Oriente contro i Pirati e
Mitridate(c.4), la congiura di Catilina(c.5), il primo
triumvirato(c.6), la conquista della Gallia da parte di
Cesare(c.7), Roma al tempo del triumvirato e i disordini di
Clodio(c.8) ,la guerra partica con la morte di Crasso e lo scoppio
della guerra civile(c.9), le fasi della guerra civile tra Cesare e
Pompeo(c.10), la dittatura di Cesare e la fondazione della
monarchia(c.10) ,infine religione,cultura ed arte nell’età
cesariana (c.11).
II
Conclusa la presentazione dell’opera, seppure in semplice forma di
sommario, vorrei ora brevemente
soffermarmi sul valore letterario di essa. Infatti non v’è alcun
dubbio che, anche a voler prescindere dal valore storiografico che ad
essa deriva dalla straordinaria erudizione dell’autore, il quale
ben padroneggia le fonti documentarie, sia di natura letteraria che
epigrafica, sulle quali basa la sua ricostruzione; gran parte del
fascinoso valore di questo monumento della cultura ottocentesca
europea, risieda nelle qualità della scrittura e nell’abilità del
Mommsen scrittore di presentare i protagonisti principali della sua
narrazione. Per questa sua abilità letteraria forse oggi non molto
nota, ma un tempo universalmente riconosciutagli, il grande storico
venne giustamente insignito del premio Nobel per la letteratura nel
1902. Leggendo il complesso periodare mommseniano,ci si accorge della
grande qualità letteraria e retorica della scrittura dello studioso
tedesco,nonché della sua grande capacità di narratore e di
ritrattista di indimenticabili caratteri che possiedono per il
lettore di oggi un notevole valore dal punto di vista artistico.
Ciascun personaggio infatti viene tratteggiato dal Mommsen,ora in
maniera positiva ora in maniera negativa, non solo attraverso il suo
personale giudizio di storico di professione,ma anche attraverso
l’acume del politico attivo e la sensibilità del fine moralista.
Tra i personaggi caratterizzati in maniera assai positiva voglio
citare qui Quinto Sertorio,l’ufficiale sabino di parte
mariana,rifugiatosi in Spagna che tenne testa per anni agli eserciti
sillani che Roma gli inviò contro, e che alla fine dovette
soccombere per il tradimento dei suoi.(72 a.C). A lui Mommsen dedica
questo splendido e commosso elogio funebre:”Così finiva la sua
vita uno dei più grandi uomini,per non dire il più grande,cui Roma
avesse dato finora i natali,un uomo che in circostanze più fortunate
sarebbe stato il rigeneratore della sua patria,e moriva per il
miserabile tradimento d’una miserabile banda di emigrati,ch’esso
era stato condannato a
capitanare contro la patria. La storia non ama i Coriolani; anche per
questo uomo, il più magnanimo, il più geniale, il più degno di
compassione ,essa non ha fatto eccezione.”(volume 2,tomo
2,pag.600). Si confronti questo elogio funebre con quello assai
ambiguo di Marco Porcio Catone Uticense, l’ultimo dei
repubblicani ,personaggio seppur rispettato in certa misura, sotto più
aspetti assai inviso,anzi direi decisamente antipatico al
Mommsen:”Catone non era affatto un grand’uomo, ma nonostante
quella miopia, quella stoltezza e noiosa aridità delle frasi fatte
che lo caratterizzarono nel suo tempo e in tutti i tempi come
l’ideale del repubblicanesimo sventato ed il beniamino di tutti
coloro che civettavano con quell’ideale, egli però era il solo che
rappresentasse con onestà e con coraggio il grande sistema nella sua
agonia. Catone ha avuto una parte storica molto più importante che
non molti altri uomini a lui superiori,poiché a fronte della
semplice verità la più scaltra menzogna non regge,e poiché ogni
grandezza e splendore della natura umana si appoggia infine
sull’onestà e non sull’intelligenza.”(volume 2,tomo
2,pag1089).Ho cercato attraverso queste due semplici citazioni
concernenti due figure tragiche della storia romana,diversamente
caratterizzate dal Mommsen,di fornire al lettore una sia pur sommaria
idea dell’abilità del grande storico tedesco nel ritrarre i
protagonisti della sua narrazione. Il valore letterario dei
personaggi del Mommsen risulterà naturalmente evidente a colui che
vorrà accingersi a leggere interamente l’opera oggetto di questa
mia recensione,ciò spero possa accadere anche grazie a questo mio
modesto contributo.
L'astrofilo filosofo
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