La moneta che vi presento in questo post è un sesterzio che raffigura Faustina I (Maggiore) la moglie di Antonino Pio (Cohen 210 tomo II a pag.430) nonchè madre di Anna Galeria Faustina, moglie di Marco Aurelio (Faustina Minore). Sul dritto abbiamo l'immagine dell'imperatrice e l'inscriptio DIVA FAUSTINA, sul rovescio è raffigurata Giunone con la patera e lo scettro con la scritta IUNO (la “I”è abrasa in questo esemplare) e SC (Senatusconsulto). Questa moneta è catalogata in The Roman Imperial Coinage vol 3 al numero 1143 a pag.165.Si tratta di una moneta posteriore al 141, dato che Faustina è chiamata “diva”: dunque di una coniazione post mortem. Questa moneta è connessa ad una celebre iscrizione assai nota che si trova nel Foro Romano sull'architrave del tempio di Antonino e Faustina DIVO ANTONINO ET DIVA FAUSTINA EX S.C. La defunta Faustina è associata ad una grande quantità di divinità e personificazioni nelle coniazioni a lei destinate dal marito (Vesta, Giunone, Venere, Eternità, Concordia Etc.. Roman Imperial Coinage III, pag 67-77 e 157-170)
venerdì 23 febbraio 2018
SESTERZIO DI FAUSTINA MAGGIORE
La moneta che vi presento in questo post è un sesterzio che raffigura Faustina I (Maggiore) la moglie di Antonino Pio (Cohen 210 tomo II a pag.430) nonchè madre di Anna Galeria Faustina, moglie di Marco Aurelio (Faustina Minore). Sul dritto abbiamo l'immagine dell'imperatrice e l'inscriptio DIVA FAUSTINA, sul rovescio è raffigurata Giunone con la patera e lo scettro con la scritta IUNO (la “I”è abrasa in questo esemplare) e SC (Senatusconsulto). Questa moneta è catalogata in The Roman Imperial Coinage vol 3 al numero 1143 a pag.165.Si tratta di una moneta posteriore al 141, dato che Faustina è chiamata “diva”: dunque di una coniazione post mortem. Questa moneta è connessa ad una celebre iscrizione assai nota che si trova nel Foro Romano sull'architrave del tempio di Antonino e Faustina DIVO ANTONINO ET DIVA FAUSTINA EX S.C. La defunta Faustina è associata ad una grande quantità di divinità e personificazioni nelle coniazioni a lei destinate dal marito (Vesta, Giunone, Venere, Eternità, Concordia Etc.. Roman Imperial Coinage III, pag 67-77 e 157-170)
lunedì 12 febbraio 2018
RACCONTO: UN NUOVO FRAMMENTO DEL VANGELO DI SAN MARCO
Sono lieto di pubblicare sul mio blog un altro piccolo mio racconto, rimasto indedito ispirato al vangelo di San Marco
UNA NUOVA VERSIONE DEL
PASSO DI MARCO SUL GIOVANE RICCO (Mc 19, 21-25), DA UN FRAMMENTO
PAPIRACEO RECENTEMENTE RISCOPERTO.
Presento
qui all'attenzione dei dotti un nuovo frammento papiraceo del vangelo
di Marco da me rinvenuto nel deserto del Sinai. Questo il testo:
”...Gesù a lui: ‹Se vuoi
essere perfetto, va', vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai
un tesoro in cielo: poi vieni e seguimi›. All'udir ciò il giovane
se ne andò triste, poichè aveva molti beni. Gesù disse ai
discepoli: ‹In verità vi dico: difficilmente un ricco entrerà nel
regno dei cieli. Due
infatti sono le categorie di uomini che vivono nel mondo: coloro che
sono secondo la carne, immersi nelle cose, tesi solo a possedere e ad
accumulare oggetti e per così dire cosificati; e coloro che invece
vivono secondo lo spirito, del tutto abitanti nell'uomo interiore e
perciò proiettati verso il divino.
Ancora vi dico: ‹ È più facile che una fune entri nella cruna di
un ago, che il
primo genere di uomini entri nel regno di Dio›...”
Ed ora qualche nota interpretativa: i passi che ho riportato in
corsivo rappresentano un' aggiunta al testo tramandatoci, di essi non
vi è traccia nei brani paralleli degli altri vangeli sinottici
concernenti il giovane ricco (Lc 18,18-30 e Mt 19,16-28); ciò mi
sembra indicare che questi versetti non appartengano alla tradizione
della fonte Q. La distinzione tra uomini che vivono secondo la carne
e uomini che vivono secondo lo spirito mi sembra derivare da san
Paolo: dunque questo eccezionale frammento testimonierebbe una
versione del testo evangelico elaborata in ambienti paolini. Segnalo
questo testo ai contemporanei: infatti nella società industriale le
persone sono sempre più dominate dal consumismo, a detrimento della
spiritualità.
Prof.
Julius Wellhausen 1910
L'astrofilo filosofo
domenica 11 febbraio 2018
RACCONTO: LA VOCAZIONE DI MATTEO
Sono lieto di pubblicare sul mio blog questo racconto apparso qualche anno fa in antologia
LA
VOCAZIONE DI MATTEO (Mt 9,9)
Trascorreva
abitualmente le sue serate nei locali alla moda di Campo dei Fiori.
Ma da alcuni mesi sentiva dentro si sé un sempre più profondo
disagio verso la vacuità di quelle nottate, caratterizzate da un
inutile pellegrinaggio attraverso chiassosi locali, popolati da gente
alienata intenta alle consuete bevute e alle vane chiacchere. I
compagni della brigata non riconoscevano più il loro amico Matteo e
temevano fosse depresso: se ne stava infatti sempre in disparte
pensoso ed estraniato, indifferente alla loro presenza. Neppure
Matteo riusciva fino in fondo a comprendere cosa gli stesse
accadendo. Ma una sera, mentre si trovava nei pressi di piazza
Navona, sentì il desiderio di entrare nella chiesa di San Luigi dei
Francesi. Una misteriosa forza interiore gli fece percorrere tutta
la navata centrale, finchè si trovò di fronte all'ultima cappella
di sinistra della chiesa, la celebre cappella Contarelli. Qui vide
subito tre famose tele del Caravaggio: al centro, sopra l'altare tra
due colonne, San Matteo e l'Angelo,
a destra il Martirio di San Matteo e
a sinistra la Vocazione di San
Matteo. Soprattutto questo
dipinto attirò la sua attenzione. Osservò attentamente Cristo che
additava sicuro con l'indice della mano destra san Matteo in mezzo a
quella equivoca combriccola. Osservò il volto meravigliato del
santo che, attraverso il gesto dubbioso della mano, si indicava come
improbabile oggetto della chiamata di Gesù. Sentì allora
improvvisamente il desiderio di pregare ma, non ricordandosi le
preghiere che aveva imparato da bambino, fu costretto a comporne una
improvvisando. Accecato da una luce sovrannaturale, sentì
miracolosamente una voce che gli diceva: ”Seguimi!” Matteo allora
comprese, ogni turbamento si dissolse e una sconfinata gioia si
impadronì del suo cuore.
l'Astrofilo filosofo
L'ASSE DI MARCO VIPSANIO AGRIPPA
RECENSIONE:LA STORIA ROMANA DI THEODOR MOMMSEN
Sono assai lieto di ripublicare sul mio blog questa recensione di un libro a me molto caro, apparsa qualche anno fa su una rivista letteraria.
LA
STORIA ROMANA DI THEODOR MOMMSEN
I
Scritta dal grande antichista e studioso di storia romana Theodor
Mommsen (1817-1903) tra il 1854 e il 1856, essa venne pubblicata
dagli editori Weidmann di Berlino e conobbe subito uno straordinario
successo di pubblico,tanto da venire subito ristampata e tradotta
nelle principali lingue europee:in francese nel 1863,in italiano nel
1864. Composta tra la Storia Romana di Bartold Georg
Niebuhr(1776-1831),prima opera storica moderna che si rivolge a una
critica diretta delle fonti, (apparsa in prima stesura nel 1811-1812,
poi rielaborata nel 1827-1828) e la Storia dei Romani in quattro
volumi del nostro Gaetano De Sanctis (professore di storia romana a
Torino e poi a Roma, erede della cattedra di Karl Julius Beloch,di
cui mi piace ricordare qui la Storia Romana apparsa nel 1926);la
Romische Geschichte del Mommsen non è affatto un’opera di mero
interesse antiquario, bensì rappresenta ancora una indispensabile
lettura per tutti coloro che vogliano approfondire la storia romana,
ricca com’è di interessanti e originali intuizioni che offrono al
lettore contemporaneo sempre nuovi spunti di riflessione critica. Si
tratta quindi, come sempre accade ai lavori scritti da grandi
studiosi, di un’opera non defunta,bensì sempre viva nel moderno
dibattito storiografico. Mommsen divide questa storia della Roma
Repubblicana, in cinque diversi libri, contenuti nell’edizione
italiana della Sansoni in due volumi, composti ciascuno di due tomi
per un totale complessivo di 2449 pagine assai dense di contenuti. Il
libro primo,“Dalle origini sino alla cacciata dei re di Roma”, si
occupa della antichissima storia dei romani(capitoli.4-5-6-7) e dei
popoli italici:le popolazioni umbro-sabelliche(c.8), gli
Etruschi(c.9) ,i Greci e i Cartaginesi stanziati in Italia(c.10);
contiene inoltre interessanti capitoli dedicati al diritto romano
(c.11), alla religione romana (c.12), allo sviluppoeconomico dei
primordi(c.13), ai sistemi di misurazione e di scrittura(c.14),ed
all’arte (c.15).Occorre che il lettore leggendo queste pagine tenga
ben presente che,quando Mommsen scriveva alla metà dell’ottocento
questi capitoli, non era ancora nata la moderna indagine archeologica
a Roma(gli scavi nel Foro sono stati iniziati solo nel 1898 da
Giacomo Boni e tutto il materiale accumulatosi da allora,è poi stato
reso disponibile solo a partire dal 1955 nella pregevole opera in sei
volumi dell’archeologo svedese Einar Gjerstad Early Rome)e che lo
studio delle popolazioni italiche preromane era soltanto ai
primordi;ciò rende ancora più straordinario e significativo lo
sforzo di sintesi e l’acutezza dimostrate dal Mommsen nel trattare
tempi remoti e resi oscuri da quel problema che è stata definito da
Aldo Schiavone, nel primo volume della Storia di Roma Einaudi,
come“interdizione della genesi”.( pag.546) Il libro secondo,
intitolato”Dall’abolizione dei re di Roma sino all’unione
dell’Italia”, tratta i temi del passaggio dalla monarchia alla
repubblica (c.1),la secessione dei plebei,la fondazione del tribunato
e il decemvirato(c.2),la ricomposizione del conflitto tra gli ordini
e la formazione della nobilitas patrizio-plebea(c.3), il conflitto
con Veio e l’invasione gallica(c.4),la sottomissione dei Latini e
le guerre sannitiche (c.5-6),la guerra contro Pirro e l’unificazione
dell’Italia (c.7). I restanti capitoli sono dedicati alla storia
culturale, trattando il diritto, la religione,l’arte e la scienza
dell’età medio-repubblicana (c.8 e c.9).In questi due libri quindi
Mommsen esaurisce la trattazione dell’età arcaica e tardo-arcaica
di Roma, quella che per lo stato complesso e confuso delle nostre
fonti è la più ardua da
ricostruire. Con il terzo libro, intitolato “Dall’unione d’Italia
sino alla sottomissione di Cartagine e degli stati Greci”, Mommsen
tratta invece dell’espansione nel Mediterraneo delle repubblica
romana. Dopo essersi soffermato su Cartagine e la sua civiltà(c.1),
Mommsen narra la prima guerra punica (c .2),la guerra illirica e la
guerra contro i Celti dell’Italia settentrionale (c.3),l’espansione
dei Barcidi in Spagna(c.4),la seconda guerra punica e la prima
macedonica (c.5-6),l’espansione in occidente e le guerre contro gli
Iberi(c.7),la seconda guerra macedonica(c.8),la guerra contro Antioco
di Siria(c.9),la terza guerra macedonica(c.10).Concludono questo
libro,come i precedenti ,alcuni capitoli dedicati alla storia della
civiltà romana di questo periodo(c.11-14). Il quarto libro,
intitolato“La rivoluzione”,tratta la guerra numantina(c.1),le
riforme dei Gracchi (c.2-3),la restaurazione antigraccana e la guerra
con Giugurta (c.4),la guerra cimbrica(c.5),i tribunati di Saturnino e
Glaucia(c.6),la guerra sociale (c.7),la prima guerra
mitridatica(c.8),Cinna e Silla(c.9),la costituzione sillana
(c.10),infine gli aspetti culturali dell’età graccana e sillana
(c.11-13).L’ultimo libro,il quinto, intitolato “La fondazione
della monarchia militare”, concerne l’estrema età
tardo-repubblicana:Marco Lepido e Quinto Sertorio(c.1),la
restaurazione sillana e Lucullo (c.2), l’emergere di Pompeo(c.3), le
campagne militari di Pompeo in Oriente contro i Pirati e
Mitridate(c.4), la congiura di Catilina(c.5), il primo
triumvirato(c.6), la conquista della Gallia da parte di
Cesare(c.7), Roma al tempo del triumvirato e i disordini di
Clodio(c.8) ,la guerra partica con la morte di Crasso e lo scoppio
della guerra civile(c.9), le fasi della guerra civile tra Cesare e
Pompeo(c.10), la dittatura di Cesare e la fondazione della
monarchia(c.10) ,infine religione,cultura ed arte nell’età
cesariana (c.11).
II
Conclusa la presentazione dell’opera, seppure in semplice forma di
sommario, vorrei ora brevemente
soffermarmi sul valore letterario di essa. Infatti non v’è alcun
dubbio che, anche a voler prescindere dal valore storiografico che ad
essa deriva dalla straordinaria erudizione dell’autore, il quale
ben padroneggia le fonti documentarie, sia di natura letteraria che
epigrafica, sulle quali basa la sua ricostruzione; gran parte del
fascinoso valore di questo monumento della cultura ottocentesca
europea, risieda nelle qualità della scrittura e nell’abilità del
Mommsen scrittore di presentare i protagonisti principali della sua
narrazione. Per questa sua abilità letteraria forse oggi non molto
nota, ma un tempo universalmente riconosciutagli, il grande storico
venne giustamente insignito del premio Nobel per la letteratura nel
1902. Leggendo il complesso periodare mommseniano,ci si accorge della
grande qualità letteraria e retorica della scrittura dello studioso
tedesco,nonché della sua grande capacità di narratore e di
ritrattista di indimenticabili caratteri che possiedono per il
lettore di oggi un notevole valore dal punto di vista artistico.
Ciascun personaggio infatti viene tratteggiato dal Mommsen,ora in
maniera positiva ora in maniera negativa, non solo attraverso il suo
personale giudizio di storico di professione,ma anche attraverso
l’acume del politico attivo e la sensibilità del fine moralista.
Tra i personaggi caratterizzati in maniera assai positiva voglio
citare qui Quinto Sertorio,l’ufficiale sabino di parte
mariana,rifugiatosi in Spagna che tenne testa per anni agli eserciti
sillani che Roma gli inviò contro, e che alla fine dovette
soccombere per il tradimento dei suoi.(72 a.C). A lui Mommsen dedica
questo splendido e commosso elogio funebre:”Così finiva la sua
vita uno dei più grandi uomini,per non dire il più grande,cui Roma
avesse dato finora i natali,un uomo che in circostanze più fortunate
sarebbe stato il rigeneratore della sua patria,e moriva per il
miserabile tradimento d’una miserabile banda di emigrati,ch’esso
era stato condannato a
capitanare contro la patria. La storia non ama i Coriolani; anche per
questo uomo, il più magnanimo, il più geniale, il più degno di
compassione ,essa non ha fatto eccezione.”(volume 2,tomo
2,pag.600). Si confronti questo elogio funebre con quello assai
ambiguo di Marco Porcio Catone Uticense, l’ultimo dei
repubblicani ,personaggio seppur rispettato in certa misura, sotto più
aspetti assai inviso,anzi direi decisamente antipatico al
Mommsen:”Catone non era affatto un grand’uomo, ma nonostante
quella miopia, quella stoltezza e noiosa aridità delle frasi fatte
che lo caratterizzarono nel suo tempo e in tutti i tempi come
l’ideale del repubblicanesimo sventato ed il beniamino di tutti
coloro che civettavano con quell’ideale, egli però era il solo che
rappresentasse con onestà e con coraggio il grande sistema nella sua
agonia. Catone ha avuto una parte storica molto più importante che
non molti altri uomini a lui superiori,poiché a fronte della
semplice verità la più scaltra menzogna non regge,e poiché ogni
grandezza e splendore della natura umana si appoggia infine
sull’onestà e non sull’intelligenza.”(volume 2,tomo
2,pag1089).Ho cercato attraverso queste due semplici citazioni
concernenti due figure tragiche della storia romana,diversamente
caratterizzate dal Mommsen,di fornire al lettore una sia pur sommaria
idea dell’abilità del grande storico tedesco nel ritrarre i
protagonisti della sua narrazione. Il valore letterario dei
personaggi del Mommsen risulterà naturalmente evidente a colui che
vorrà accingersi a leggere interamente l’opera oggetto di questa
mia recensione,ciò spero possa accadere anche grazie a questo mio
modesto contributo.
L'astrofilo filosofo
RECENSIONE:LA STORIA DELLA GIURISPRUDENZA ROMANA DI FRITZ SCHULZ
Sono assai lieto di ripubblicare sul mio nuovo blog questa recensione apparsa qualche anno fa su una rivista letteraria.
I Molti lettori avranno una certa dimestichezza con gli autori e la storia della letteratura latina grazie ai loro studi liceali o universitari. Meno diffusamente conosciuta è invece la tradizione letteraria giuridica latina, proprio ad essa, nonché al metodo, ai caratteri e ai procedimenti dell’antica giurisprudenza romana è dedicato il libro dello studioso tedesco Fritz Schulz (1879-1957) oggetto della presente recensione. Esso costituisce, insieme ai Prinzipien des romischen Rechts, in cui lo Schulz aveva cercato di enucleare i concetti fondamentali su cui i Romani basavano ed elaboravano la loro esperienza giuridica e al Classical Roman Law, una ricognizione sistematica degli istituti del diritto privato romano al suo apogeo, una sorta di trilogia atta a fornire un quadro completo dell’esperienza giuridica latina. Il libro, scritto durante la seconda guerra mondiale, possiede l’autorità di un classico ed è esemplare per la chiarezza e l’eleganza con cui è scritto, secondo il canone della migliore storiografia anglosassone. Schulz, infatti, a causa della sua origine ebraica si trasferì in Inghilterra durante il regime hitleriano per sfuggire alle persecuzioni naziste. L’Opera è divisa in quattro sezioni. Nella prima, la più breve, intitolata “Il periodo arcaico”, lo studioso si occupa dei primordi della giurisprudenza romana, analizzando l’antico collegio sacerdotale dei Pontifices custode del diritto sacro nonché dei formulari del diritto privato. Schulz intende chiarire soprattutto il profilo sociologico di questi giuristi-sacerdoti romani, puntualizzando che essi non erano tanto dei sacerdoti spirituali o carismatici in senso orientale, quanto piuttosto tipici honoratiores nel senso di Max Weber: persone cioè di alto rango sociale a cui la posizione economica permetteva di assumere le più alte cariche pubbliche dello stato senza compenso alcuno. Si sofferma poi sulla più nota caratteristica del diritto romano arcaico: il formalismo degli atti giuridici e negoziali destinato a lungo a permeare lo spirito del diritto e a manifestarsi nelle forme tipiche (certa verba) di una ristretta rosa di negozi giuridici, adattati poi dalla giurisprudenza pontificale e laica nel corso del tempo a svolgere nuove funzioni (ad esempio la mancipatio che fu secondo Schulz “plastica e adattabile”, cioè capace di applicazioni estensive produttive di nuovi effetti giuridici.) Nella seconda parte, intitolata “Il periodo ellenistico”, viene descritto il progressivo sviluppo autonomo della giurisprudenza laica. Largo spazio viene dedicato all’ingresso nella scienza giuridica romana della dialettica greca ( “il saper dividere per generi” caro al Sofista di Platone) capace di sistematizzare il pensiero giuridico romano e di trasformarlo in un sapere atto a produrre una scienza giuridica specialistica di stampo ellenistico. Nasce così una vera e propria letteratura giuridica romana, che ha nei 18 Libri iuris civilis di Quinto Mucio Scevola (console del 95 a.C., nonché maestro di Cicerone) l’opera capitale di quest’epoca. Discreto spazio è inoltre dedicato a puntualizzare i rapporti tra scienza giuridica e avvocatura che, basata sullo sutdio della retorica, deve essere rigorosamente distinta dalla prima (si veda la Pro Murena e ciò che Cicerone dice del giurista Servio Sulpicio Rufo, console nel 51 a.C) E’ questa l’età in cui l’antico diritto civile romano stempera il suo formalismo nella nuova procedura giudiziaria del processo formulare, grazie all’attività del Pretore manifestantesi nel suo Editto (aveva perfettamente ragione Giambattista Vico nel De uno universi iuris principio et fine uno del 1720 –cap.CLXVI- a definire il pretore “custode del diritto privato romano”) in gran parte frutto del lavoro dei giuristi che assistevano lui e le parti in giudizio.) Nella terza parte “Il periodo classico” Schulz si occupa della giurisprudenza del principato da Augusto a Diocleziano, lo studioso analizza le novità introdotte dalla nuova figura del princeps attraverso l’introduzione dell’istituto del “ius publice respondendi” da intendersi come concessione del principe ai giuristi di dare responsa auctoritate imperatoris. L’antica figura dell’aristocratico giurista repubblicano viene gradatamente affiancata e poi sostituita da un nuovo tipo di giurista subordinato al sovrano e inserito nei nuovi uffici imperiali. Largo spazio è dato alla letteratura giuridica del principato, su di essa mi soffermerò brevemente in seguito. Nella quarta parte, intitolata “Il periodo burocratico”, Schulz descrive la giurisprudenza del tardo-antico caratterizzata da una completa burocratizzazione e alimentata da diverse tendenze, spesso tra loro contrastanti: la tendenza classicizzante, quelle alla stabilizzazione, alla semplificazione, all’umanizzazione ed infine alla cristianizzazione del diritto. E’ l’età della codificazione del sapere giuridico, dai primi Codices privati di costituzioni imperiali dell’età dioclezianea, Gregorianus e Hermogenianus, passando attraverso il Codex Theodosianus del 438,si giunge alla grande impresa del Corpus Iuris Civilis di Giustiniano: il primo Codex del 529; i Digesta seu Pandectae del 533 d.C., un’antologia delle opere dei principali giuristi classici; le Institutiones, opera sul diritto elementare in quattro libri ed infine la nuova raccolta di leggi imperiali, il Codex repetitae praelectionis del 534 d.C. Con Giustiniano cessa l’antica scienza giuridica romana e nascono la romanistica in occidente e la bizantina in oriente.
II
Il capitolo quarto della parte terza è, come Schulz stesso riconosce, il più
importante di tutto libro ed è dedicato alle opere principali della
giurisprudenza classica, quelle da noi meglio conosciute perché da esse
Giustiniano e il suo giurista Triboniano trassero i brani da inserire nel
Digesto. Ora tesi fondamentale dello Schultz è che il dettato classico di
queste opere di cui noi conserviamo ampi lacerti nel Corpus Iuris sia irrimediabilmente andato perduto, perché le opere
dei giuristi classici vennero drasticamente
sottoposte a frevisionme nella prima età postclassica, (seconda metà del
III secolo-prima metà del IV) pregiudicando così la nostra possibilità di una
ricostruzione palingenetica letterale degli scritti dei giuristi classici. Qui
mi limiterò semplificando a passare in rassegna brevemente i principali generi
ed opere della letteratura giuridica classica, rimandando alo testo dello
Schultz per un’analisi dettagliata.
1)Letteratura isagogica, cioè elementare. Si tratta di opere brevi e dal
contenuto quasi manualistico: Libri tres
iuris civilis di Massurio Sabino (I sec. d.C.); Institutiones di Gaio (II sec. d.C), opera importante perché giuntaci quasi completa nel famoso
palinsesto veronese scoperto dal Niebuhr nel 1816; Institutiones di Fiorentino (II sec. d.C.) di cui nulla rimane; Enchiridion di Pomponio (II sec. d.C.),
da cui nel Digesto venne tratto il breve frammento del secondo Titolo “De origine iuris et omnium magistratuum et
successione prudentium” assai importante per la storia giuridica, anche se
purtroppo molto corrotto perché sunteggiato in età postclassica. 2) Commentari, soprattutto nella forma del
commentario lemmatico. Quest’ultimo viene così definito da Schultz (pag
327): “ Il testo commentato e il commento sono opere separate, scritte su
rotoli separati e il lettore è informato del passo commentato per mezzo di
lemmi, cioè di estratti del testo.” Questo genere lo si può dividere in due
sottogeneri fondamentali: commentari
agli editti del pretore e dei governatori provinciali e commentari ad opere giuridiche di altri giuristi. Appartengono al
primo sottogenere le seguenti opere: Ad
Edictum di Labeone (I sec. a.C.-I sec d.C.) in 30 libri, Ad Editum di Pomponio in 150 libri, Ad Edictum di Giulio Paolo (fine
sec.II-inizio III d.C) in 80 libri, Ad
Edictum di Ulpiano (III sec.d.C. prefetto del pretorio sotto Alessandro
Severo) in 83 libri. Appartengono invece al secondo sottogenere i 39 libri Ad Quintum Mucium e i 35 libri Ad Sabinum di Pomponio, i 16 libri Ad Sabinum di Giulio Paolo, i (forse) 62
libri sempre Ad Sabinum di Ulpiano. 3)Letteratura problematica. In questo
terzo grande genere sono raccolte opere dedicate esclusivamente ai ai problemi
più difficili e alle più imbarazzanti questioni di diritto. Si tratta del
genere più congeniale al tipo di giurisprudenza casistica (cioè dei casi concreti) sviluppata dai
giuristi romani a lungo alieni dal formulare i principi giuridici in forma
astratta ed universale. Queste opere hanno spesso i titoli di Digesta, Responsa, Quaestiones,
Disputationes. Tra le opere più celebri di questo genere: i 39 libri di Digesta di Celso figlio (I-II sec.d.C),
i 90 libri di Digesta di Salvio
Giuliano (il giurista che, su incarico di Adriano, nel secondo secolo d.C.
diede definitiva sistemazione all’Editto del pretore trasformandolo da lex annua in edictum perpetuum),i 40 libri di Digesta di Cervidio Scevola (II sec. d.C.), i 37 libri di Quaestiones e i 19 di Responsa
di Emilio Papiniano (prefetto del pretorio di Settimio Severo fu fatto uccidere nel 212 d.C. da Caracalla
in seguito all’assassinio del fratello Geta), i 26 libri di Quaestiones e i 23 di Responsa di Giulio Paolo, infine i 10
libri di Disputationes di Ulpiano.
Rimando al testo dello Schultz il lettore interessato ad approfondire la
conoscenza di altri generi minori quali i commentari a singole leges e senatusconsulta ( ad esempio le molte leggi augustee), opere
monografiche (piuttosto rare), opere concernenti il diritto pubblico, la più
celebre delle quali è il De officio
proconsulis di Ulpiano.
L'astrofilo filosofo
giovedì 8 febbraio 2018
MANIFESTO DELL'ASTROFILO FILOSOFO
MANIFESTO
DELL'ASTROFILO FILOSOFO
INTRODUZIONE
Inzio
a scrivere e subito mi imbatto in una difficoltà che Ludwig
Wittgenstein esprime aforisticamente così:” E' impossibile
scrivere su noi stessi cose più vere di come noi siamo veri. Questa
è la differenza fra scrivere su noi stessi e su cose esterne. Su noi
stessi scriviamo esattamente alla nostra altezza, qui non siamo sui
trampoli o su una scala, ma sui nostri piedi.”(Pensieri
diversi 1937) Come posso dunque presentarmi a voi, cari lettori?
Faccio mio questo ritratto umano e letterario del temperamento
melanconico tratto dalle Osservazioni sul sentimento del bello e del
sublime di Immanuel Kant:” L'uomo di temperamento malinconico si
cura poco di quello che gli altri giudicano e ritengono buono e vero;
egli si basa soltanto sul proprio criterio. Dal momento che in lui i
moventi assumono la natura di principi, non è facile condurlo a
mutar parere, talvolta la sua costanza degenera in testardaggine.
Egli considera con indifferenza il cangiar delle mode, e con
disprezzo il loro luccichio. Sublime è l'amicizia, e perciò essa si
addice al suo sentire, egli può forse perdere un amico incostante,
ma questi non perderà lui tanto presto; persino il ricordo di
un'amicizia spenta rimane onorevole per lui. La loquacità è bella,
la riservatezza pensosa e sublime: quest'uomo sara ben custode dei
segreti propri e altrui. Sublime è la veracità, ed egli ha in odio
il mentire o il dissimulare. Egli ha un alto sentimento della dignità
della natura umana: apprezza se stesso, e ritiene ogni uomo creatura
degna di rispetto. Non sopporta nessuna abietta ossequiosità, e
libertà spira nel suo nobile petto: tutte le catene, a partire da
quelle dorate che si portano a corte, sino al pesante ferro del
galeotto, sono per lui detestabili. É severo giudice di se stesso e
degli altri, e non di rado ha fastidio di sé come del mondo.”
Ma questo non è che un ritratto letterario preso in prestito da un
grande filosofo che in parte mi rappresenta e al contempo mi
nasconde. Ma forse non è in fondo molto importante che io parli
troppo di me stesso, dare troppa voce al proprio” maledetto io”
(come lo definiva Carlo Emilio Gadda) rischia di far passare in
secondo piano e di velare il contenuto di ciò che si ha da
comunicare. Italo Calvino disse acutamente una volta:”Io
appartengo al numero di coloro che ritengono che di una autore
contino soltanto le opere, (quando contano naturalmente); quindi
informazioni biografiche non ne do, o le do false”. Se
di un autore letterario contano soltanto le opere; di un filosofo
conta a maggior ragione ciò che egli pensa e il contenuto di
pensiero si colloca in una sfera che è assai al di là da qualsiasi
nota o vicenda biografica. Risolta così con una certa elusività la
questione della mia presentazione, il lettore sarà senz'altro
incuriosito dal titolo di questo mio blog:”L'astrofilo filosofo”
e si domanderà:” Qual'è la connessione tra l'attività di
astrofilo e quella di filosofo?” Proprio a questa domanda cercherò
ora di rispondere.
PRIMA
PARTE FILOSOFICA
Che
cos'è la filosofia? Non pretendo certo di rispondere a questa
domanda in modo esaustivo in questo mio breve scritto, cercherò
quindi di fornire molto modestamente e solo per cenni la mia opinione
personale e i forti convincimenti che sono andati formandosi nel mio
animo. Generalmente si considera filosofia l'attività del pensiero
tesa a costruire sistemi o teorie in grado di spiegare problemi di un
settore particolare (estetica, politica, morale) o addirittura il
mondo nel suo complesso. Ma questa definizione della filosofia è in
grado di dare conto dell'intima essenza di essa? Io non ne sono
affatto convinto. La lettura delle opere dello storico e filosofo
francese Pierre Hadot mi hanno convinto che la filosofia sia
essenzialmente e prima di tutto un modo
di vivere basato sugli
esercizi spirituali
aventi come fine il perfezionamento e il trascendimento della propria
individualità con il raggiungimento di una prospettiva universale.
Per esercizi spirituali intendo quelle pratiche di riflessione e di
concentrazione che permettono di ritrovare il nucleo della propria
interiorità al di là delle contingenze a volte aspre della vita.
Nella filosofia intesa come modo di vivere risulta essenziale la
dimensione della cura di
sé (di cui parla già
Platone nell'Alcibiade I) intesa non come ripiegamento estetizzante
verso se stessi, ma piuttosto come precondizione di apertura al
mondo, apertura alla cura
verso l'altro. Questa
concezione della filosofia merita senz'altro un approfondimento
maggiore di questi miei brevi cenni. Per ora mi limito a trarre
alcune conseguenze da ciò che sono venuto dicendo. Il metodo con cui
si insegna filosofia nelle nostre strutture educative è solo molto
parzialmente corretto. La lettura delle opere della tradizione
filosofica e la memorizzazione di ciò che sono andati ad esempio
dicendo Platone, Aristotele, Locke, Hume, Kant non esaurisce affatto
la filosofia. Si badi, qui io non intendo affatto negare il valore e
l'importanza dell'approfondimento e del dialogo costante con gli
autori della grande tradizione filosofica. Questi geni hanno tante
cose da dire preziose, profonde; a volte strane e incredibili,
indubbiamente gli autori classici sono e saranno per ricchezza e
vastità intramontabili, un possesso per l'eternità
direbbe Tucidide. Ma per dirla con Nietzsche:” Solamente
nella misura in cui la storia serva alla vita, vogliamo servire la
storia.” Il problema è che nel
mero studio degli autori esiste il rischio di cadere
nell'autoreferenzialità, di muoversi in una dimensione troppo
specialistica, (György Lukacs parlava di idiotismo
specialistico consistente
nell'occuparsi in maniera esatta e ossessiva di pseudoproblemi)
laddove invece la filosofia, se non vuole smarrire se stessa, deve
poter parlare a tutti, anche a persone che non hanno mai letto e
mai leggeranno i classici della tradizione filosofica. La filosofia,
per riprendere una definazione hegeliana è “ il proprio tempo
pensato per concetti”. Il
proprio tempo appunto. E
il nostro tempo è caratterizzato a mio avviso dall'ossessione nei
confronti degli oggetti: dall'ossessione della categoria dell' avere
piuttosto che da quella dell''essere.
Viviamo soffocati dagli oggetti e da ciò che possediamo, con la
perversa conseguenza di considerare anche le altre persone come
oggetti, dunque soltanto in maniera strumentale, (dimentichi in tal
modo dell'imperativo kantiano: agisci sempre considerando l'altro
sempre come fine e mai puramente come mezzo). La filosofia come modo
di vivere ci invita invece ad avere cura di ciò che umanamente siamo
e a prenderci cura dell'interiorità degli altri. Essa ci invita
all'umanesimo, alla riscoperta della nostra umanità, allo scoprire
le cose semplici e apparentemente banali del nostro vivere
quotidiano: la bellezza dello stare insieme, la ricchezza del dialogo
con l'altro, il valore intramontabile di un'amicizia che dura da
tanti anni. Ma è giunto il momento di collocare la mia attività di
astrofilo all'interno di questa prospettiva filosofica che
naturalmente ho solo sommariamente delineato.
SECONDA
PARTE ASTRONOMICA
Ho
detto sopra che l'esercizio spirituale è una pratica avente il fine
di un trascendimento della propria individualità con il conseguente
raggiungimento di una prospettiva universale. Ebbene l'osservazione
astronomica ben si presta ad essere interpretata come esercizio
spirituale. La
contemplazione delle infinità del cosmo infatti ci permette di
distaccarci dalla nostra piccola individualità, dalle piccole e
grandi miserie del quotidiano, dai grandi e piccoli drammi della
nostra vita. L'astronomia certifica che esiste un mondo
incredibilmente vasto ed eterogeneo, popolato da oggetti misteriosi
ed enigmatici che sempre accrescono ed accresceranno la nostra voglia
di sapere e di comprendere, e che il nostro piccolo io non è affatto
al centro del tutto come solitamente pensiamo in maniera irriflessa.
L'osservazione degli spazi
profondi del nostro Universo ridimensiona il nostro ego, conforta
inoltre il nostro animo e ci invita a sperare di poter diventare ed
essere costantemente uomini migliori nel breve spazio che ci è
concesso da vivere. La contemplazione di stelle, galassie e pianeti
possiede quindi un indubbio valore morale ed estetico e ci richiama
facilmente alla riscoperta della nostra umanità e profondità
essenziali, come già riconosceva Kant: “la legge morale
dentro di me, il cielo stellato sopra di me.”Ogni
astrofilo certamente si ricorda con commozione dei primi passi
compiuti nell'osservazione del cielo mossi da quella meraviglia
che già per Aristotele era l'inizio autentico di ogni filosofare e
di ogni conoscere. Questa primordiale ed essenziale meraviglia è
proprio ciò che sta a fondamento di ogni attività osservativa al di
là dei mezzi tecnologici e dei risultati scientifici (o di semplice
e puro diletto) che ogni astrofilo si prefigge. Che si osservi ad
occhio nudo, con un modesto cannocchiale, con un piccolo o grande
telescopio; che si sia osservatori visuali o astrofotografi, che si
sia esperti o principianti, che si sia dei raffinati teorici o dei
semplici pratici, sempre unica è la fonte che ci spinge ad
allontanarci da noi stessi e da questo piccolo mondo per rivolgerci
alle vastità degli spazi profondi! “Magnum miraculum est
homo” diciamo con commozione
tutti quanti insieme! E con Wolfram cantiamo all'unisono l'aria del
Tannhäuser di Richard Wagner :”O du, mein holder
Abendstern, /wohl grüsst'ich immer dich so gern(...) O tu mia dolce
stella del Vespero,/ ben io sempre e di buon grado t'ho salutata
(...)” Dunque proprio
l'osservazione del cielo è di fondamentale importanza per raggiungere
quella particolare temperatura emotiva, necessaria sul piano
filosofico per vedere correttamente la propria vita e il mondo. Come
il lettore avrà notato anch'io sento la musica delle sfere celesti
come sostenevano gli antichi pitagorici ed è allora che la mia
interiorità si trasforma e si trasfigura sfociando in momenti di
mistica estatica... Ma avrò occasione di parlare di questo aspetto
in un'altra occasione. Adesso è ormai giunto il momento di avviarmi
alla conclusione di queste riflessioni introduttive.
CONCLUSIONE
Quelle
che ho delineato finora sono le basi, i punti di partenza
“ideologici” del blog che intendo sviluppare da qui in avanti.
Aspetto peculiare di questo blog è la connessione, penso non ancora
sviluppata tra i blogger, tra due discipline apparentemente lontane
come la filosofia e l'astronomia. Come ho scritto anche nella breve
presentazione scopo principale di questo blog è quello di creare una
rete relazionale diffusa sulla base dei miei interessi mentali e
umani, nella convinzione che non sia possibile alcun autentico
interesse mentale senza una solida radice umana. Confido quindi che
vorrete stringere amicizia con me e condividere i miei interessi e
spero che troverete interessanti le cose che scriverò. Potrete
lasciare i vostri commenti sotto i post ma anche scrivermi
privatamente per conoscermi meglio, chiedermi e offrirmi la vostra
amicizia nonché approfondire i temi che vi sembreranno di vostro
interesse oppure quelli che vi appariranno deboli e problematici. Del
resto sono convinto di avere bisogno delle vostre domande e dei
vostri stimoli anche per realizzare certi progetti letterari che mi
stanno particolarmente a cuore, perciò vi dico francamente: “Si,
continuate a fare domande; ho senz'altro bisogno delle vostre
domande, le domande del resto sono a volte assai più interessanti e
ricche di significato delle stesse possibili risposte.Troverete
quindi sviluppati i temi filosofici che mi stanno a cuore, il
racconto delle osservazioni astronomiche che compirò, ma largo
spazio dedicherò a molte altre cose, la musica, l'arte, il cinema,
la letteratura che amo, i luoghi reali e mentali nei quali sovente
si svolge la mia vita. Dunque a presto, cari amici lettori.
L'astrofilo
filosofo
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