venerdì 23 febbraio 2018

SESTERZIO DI FAUSTINA MAGGIORE




La moneta che vi presento in questo post è un sesterzio che raffigura Faustina I (Maggiore) la moglie di Antonino Pio (Cohen 210 tomo II a pag.430) nonchè madre di Anna Galeria Faustina, moglie di Marco Aurelio (Faustina Minore). Sul dritto abbiamo l'immagine dell'imperatrice e l'inscriptio DIVA FAUSTINA, sul rovescio è raffigurata Giunone con la patera e lo scettro con la scritta IUNO (la “I”è abrasa in questo esemplare) e SC (Senatusconsulto). Questa moneta è catalogata in The Roman Imperial Coinage vol 3 al numero 1143 a pag.165.Si tratta di una moneta posteriore al 141, dato che Faustina è chiamata “diva”: dunque di una coniazione post mortem. Questa moneta è connessa ad una celebre iscrizione assai nota che si trova nel Foro Romano sull'architrave del tempio di Antonino e Faustina DIVO ANTONINO ET DIVA FAUSTINA EX S.C. La defunta Faustina è associata ad una grande quantità di divinità e personificazioni nelle coniazioni a lei destinate dal marito (Vesta, Giunone, Venere, Eternità, Concordia Etc.. Roman Imperial Coinage III, pag 67-77 e 157-170)

lunedì 12 febbraio 2018

RACCONTO: UN NUOVO FRAMMENTO DEL VANGELO DI SAN MARCO

Sono lieto di pubblicare sul mio blog un altro piccolo mio racconto, rimasto indedito ispirato al vangelo di San Marco

 
UNA NUOVA VERSIONE DEL PASSO DI MARCO SUL GIOVANE RICCO (Mc 19, 21-25), DA UN FRAMMENTO PAPIRACEO RECENTEMENTE RISCOPERTO.







Presento qui all'attenzione dei dotti un nuovo frammento papiraceo del vangelo di Marco da me rinvenuto nel deserto del Sinai. Questo il testo: ”...Gesù a lui: ‹Se vuoi essere perfetto, va', vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo: poi vieni e seguimi›. All'udir ciò il giovane se ne andò triste, poichè aveva molti beni. Gesù disse ai discepoli: ‹In verità vi dico: difficilmente un ricco entrerà nel regno dei cieli. Due infatti sono le categorie di uomini che vivono nel mondo: coloro che sono secondo la carne, immersi nelle cose, tesi solo a possedere e ad accumulare oggetti e per così dire cosificati; e coloro che invece vivono secondo lo spirito, del tutto abitanti nell'uomo interiore e perciò proiettati verso il divino. Ancora vi dico: ‹ È più facile che una fune entri nella cruna di un ago, che il primo genere di uomini entri nel regno di Dio›...” Ed ora qualche nota interpretativa: i passi che ho riportato in corsivo rappresentano un' aggiunta al testo tramandatoci, di essi non vi è traccia nei brani paralleli degli altri vangeli sinottici concernenti il giovane ricco (Lc 18,18-30 e Mt 19,16-28); ciò mi sembra indicare che questi versetti non appartengano alla tradizione della fonte Q. La distinzione tra uomini che vivono secondo la carne e uomini che vivono secondo lo spirito mi sembra derivare da san Paolo: dunque questo eccezionale frammento testimonierebbe una versione del testo evangelico elaborata in ambienti paolini. Segnalo questo testo ai contemporanei: infatti nella società industriale le persone sono sempre più dominate dal consumismo, a detrimento della spiritualità.

                                                                                Prof. Julius Wellhausen 1910

                                                                 L'astrofilo filosofo

domenica 11 febbraio 2018

RACCONTO: LA VOCAZIONE DI MATTEO

Sono lieto di pubblicare sul mio blog questo racconto apparso qualche anno fa in antologia
 

LA VOCAZIONE DI MATTEO (Mt 9,9)



Trascorreva abitualmente le sue serate nei locali alla moda di Campo dei Fiori. Ma da alcuni mesi sentiva dentro si sé un sempre più profondo disagio verso la vacuità di quelle nottate, caratterizzate da un inutile pellegrinaggio attraverso chiassosi locali, popolati da gente alienata intenta alle consuete bevute e alle vane chiacchere. I compagni della brigata non riconoscevano più il loro amico Matteo e temevano fosse depresso: se ne stava infatti sempre in disparte pensoso ed estraniato, indifferente alla loro presenza. Neppure Matteo riusciva fino in fondo a comprendere cosa gli stesse accadendo. Ma una sera, mentre si trovava nei pressi di piazza Navona, sentì il desiderio di entrare nella chiesa di San Luigi dei Francesi. Una misteriosa forza interiore gli fece percorrere tutta la navata centrale, finchè si trovò di fronte all'ultima cappella di sinistra della chiesa, la celebre cappella Contarelli. Qui vide subito tre famose tele del Caravaggio: al centro, sopra l'altare tra due colonne, San Matteo e l'Angelo, a destra il Martirio di San Matteo e a sinistra la Vocazione di San Matteo. Soprattutto questo dipinto attirò la sua attenzione. Osservò attentamente Cristo che additava sicuro con l'indice della mano destra san Matteo in mezzo a quella equivoca combriccola. Osservò il volto meravigliato del santo che, attraverso il gesto dubbioso della mano, si indicava come improbabile oggetto della chiamata di Gesù. Sentì allora improvvisamente il desiderio di pregare ma, non ricordandosi le preghiere che aveva imparato da bambino, fu costretto a comporne una improvvisando. Accecato da una luce sovrannaturale, sentì miracolosamente una voce che gli diceva: ”Seguimi!” Matteo allora comprese, ogni turbamento si dissolse e una sconfinata gioia si impadronì del suo cuore.

                                                            l'Astrofilo filosofo                                          
                                                                            

L'ASSE DI MARCO VIPSANIO AGRIPPA





La moneta che vi presento in questo post è un asse che raffigura Marco Vipsanio Agrippa, il celebre generale romano grande amico, nonchè genero di Augusto. Sul dritto della moneta vì è l'immagine di Agrippa accompagnata dalla INSCRIPTIO:” M.AGRIPPA L.F COS III” sul rovescio c'è Nettuno con il tridente. Nel cartelino che compare nella fotografia della moneta, v'è la sigla C3 che si riferisce al numero del catalogo di Henry Cohen Description historique des monnaies frappees sous l'empire roman Parigi 1880 in otto volumi.(Si trova nel tomo I sotto Agrippa pag. 175). L'iscrizione, che significa“Marco Agrippa, figlio di Lucio, console per la terza volta” è estremamente simile all'iscrizione assai celebre e nota sull'architrave del Pantheon “M.AGRIPPA L.f.CO(N)S(UL) TERTIUM FECIT” in Campo Marzio. Poichè il terzo consolato di Agrippa risale al 27 a.C io ho inizialmente pensato che questa moneta fosse coeva al suo consolato. Senonchè consultando The Roman Imperial Coinage di Sutherland vol I questo asse è catalogato a pag. 112 sotto Gaio tra le monete di data incerta al numero 58. Mentre Harold Mattingly in Coins of the British Museum la cataloga al numero 161 sotto Tiberio. A quando risale dunque la coniazione dell'asse di Agrippa? Il Sutherland a pag 89 scrive:”One final question remains. When were the enormously common asses in the name of M. Agrippa produced. In their day ,whenever that was, they must have formed a solid proportion of the aes in circulation. Two main views have recently been propounded, and on precise grounds of analysis and argument: first, that they began under Tiberius c 22-28, continuing under Gaius and Claudius, and secondly that they belong to the years 37-41 under Gaius alone, possibly with some Claudian continuation. For the moment absolute certainty seems impossible, but the later date, 37-41, seems to present a slightly greater margin of probability, and in consequence these asses have not been listed here under Tiberius” .E ancora a pag. 105 :” But they (gli assi raffiguranti Vesta ) were heavily outnumbered, if recent theory is correct, by the vast coinage of asses with Agrippa obverse, wich may even have lasted beyond Gaius death and wich were certainly subject to imitation outside Italy. The “Agrippa Asses-a single type-must have played under Gaius the part played under Augustus by the signed moneyers' aes from the series of tresviri .”Questa moneta dunque sarebbe stata coniata sotto Caligola, soluzione che sembra persuasiva anche a me, tenendo conto che Caligola era il nipote di Agrippa (suo nonno). Si tratta quindi di una moneta del I sec d.C coniata sotto Caligola o magari di una coniazione imitativa proseguita sotto Claudio o Nerone.

RECENSIONE:LA STORIA ROMANA DI THEODOR MOMMSEN

Sono assai lieto di ripublicare sul mio blog questa recensione di un libro a me molto caro, apparsa qualche anno fa su una rivista letteraria.

 
LA STORIA ROMANA DI THEODOR MOMMSEN



I Scritta dal grande antichista e studioso di storia romana Theodor Mommsen (1817-1903) tra il 1854 e il 1856, essa venne pubblicata dagli editori Weidmann di Berlino e conobbe subito uno straordinario successo di pubblico,tanto da venire subito ristampata e tradotta nelle principali lingue europee:in francese nel 1863,in italiano nel 1864. Composta tra la Storia Romana di Bartold Georg Niebuhr(1776-1831),prima opera storica moderna che si rivolge a una critica diretta delle fonti, (apparsa in prima stesura nel 1811-1812, poi rielaborata nel 1827-1828) e la Storia dei Romani in quattro volumi del nostro Gaetano De Sanctis (professore di storia romana a Torino e poi a Roma, erede della cattedra di Karl Julius Beloch,di cui mi piace ricordare qui la Storia Romana apparsa nel 1926);la Romische Geschichte del Mommsen non è affatto un’opera di mero interesse antiquario, bensì rappresenta ancora una indispensabile lettura per tutti coloro che vogliano approfondire la storia romana, ricca com’è di interessanti e originali intuizioni che offrono al lettore contemporaneo sempre nuovi spunti di riflessione critica. Si tratta quindi, come sempre accade ai lavori scritti da grandi studiosi, di un’opera non defunta,bensì sempre viva nel moderno dibattito storiografico. Mommsen divide questa storia della Roma Repubblicana, in cinque diversi libri, contenuti nell’edizione italiana della Sansoni in due volumi, composti ciascuno di due tomi per un totale complessivo di 2449 pagine assai dense di contenuti. Il libro primo,“Dalle origini sino alla cacciata dei re di Roma”, si occupa della antichissima storia dei romani(capitoli.4-5-6-7) e dei popoli italici:le popolazioni umbro-sabelliche(c.8), gli Etruschi(c.9) ,i Greci e i Cartaginesi stanziati in Italia(c.10); contiene inoltre interessanti capitoli dedicati al diritto romano (c.11), alla religione romana (c.12), allo sviluppoeconomico dei primordi(c.13), ai sistemi di misurazione e di scrittura(c.14),ed all’arte (c.15).Occorre che il lettore leggendo queste pagine tenga ben presente che,quando Mommsen scriveva alla metà dell’ottocento questi capitoli, non era ancora nata la moderna indagine archeologica a Roma(gli scavi nel Foro sono stati iniziati solo nel 1898 da Giacomo Boni e tutto il materiale accumulatosi da allora,è poi stato reso disponibile solo a partire dal 1955 nella pregevole opera in sei volumi dell’archeologo svedese Einar Gjerstad Early Rome)e che lo studio delle popolazioni italiche preromane era soltanto ai primordi;ciò rende ancora più straordinario e significativo lo sforzo di sintesi e l’acutezza dimostrate dal Mommsen nel trattare tempi remoti e resi oscuri da quel problema che è stata definito da Aldo Schiavone, nel primo volume della Storia di Roma Einaudi, come“interdizione della genesi”.( pag.546) Il libro secondo, intitolato”Dall’abolizione dei re di Roma sino all’unione dell’Italia”, tratta i temi del passaggio dalla monarchia alla repubblica (c.1),la secessione dei plebei,la fondazione del tribunato e il decemvirato(c.2),la ricomposizione del conflitto tra gli ordini e la formazione della nobilitas patrizio-plebea(c.3), il conflitto con Veio e l’invasione gallica(c.4),la sottomissione dei Latini e le guerre sannitiche (c.5-6),la guerra contro Pirro e l’unificazione dell’Italia (c.7). I restanti capitoli sono dedicati alla storia culturale, trattando il diritto, la religione,l’arte e la scienza dell’età medio-repubblicana (c.8 e c.9).In questi due libri quindi Mommsen esaurisce la trattazione dell’età arcaica e tardo-arcaica di Roma, quella che per lo stato complesso e confuso delle nostre fonti è la più ardua da ricostruire. Con il terzo libro, intitolato “Dall’unione d’Italia sino alla sottomissione di Cartagine e degli stati Greci”, Mommsen tratta invece dell’espansione nel Mediterraneo delle repubblica romana. Dopo essersi soffermato su Cartagine e la sua civiltà(c.1), Mommsen narra la prima guerra punica (c .2),la guerra illirica e la guerra contro i Celti dell’Italia settentrionale (c.3),l’espansione dei Barcidi in Spagna(c.4),la seconda guerra punica e la prima macedonica (c.5-6),l’espansione in occidente e le guerre contro gli Iberi(c.7),la seconda guerra macedonica(c.8),la guerra contro Antioco di Siria(c.9),la terza guerra macedonica(c.10).Concludono questo libro,come i precedenti ,alcuni capitoli dedicati alla storia della civiltà romana di questo periodo(c.11-14). Il quarto libro, intitolato“La rivoluzione”,tratta la guerra numantina(c.1),le riforme dei Gracchi (c.2-3),la restaurazione antigraccana e la guerra con Giugurta (c.4),la guerra cimbrica(c.5),i tribunati di Saturnino e Glaucia(c.6),la guerra sociale (c.7),la prima guerra mitridatica(c.8),Cinna e Silla(c.9),la costituzione sillana (c.10),infine gli aspetti culturali dell’età graccana e sillana (c.11-13).L’ultimo libro,il quinto, intitolato “La fondazione della monarchia militare”, concerne l’estrema età tardo-repubblicana:Marco Lepido e Quinto Sertorio(c.1),la restaurazione sillana e Lucullo (c.2), l’emergere di Pompeo(c.3), le campagne militari di Pompeo in Oriente contro i Pirati e Mitridate(c.4), la congiura di Catilina(c.5), il primo triumvirato(c.6), la conquista della Gallia da parte di Cesare(c.7), Roma al tempo del triumvirato e i disordini di Clodio(c.8) ,la guerra partica con la morte di Crasso e lo scoppio della guerra civile(c.9), le fasi della guerra civile tra Cesare e Pompeo(c.10), la dittatura di Cesare e la fondazione della monarchia(c.10) ,infine religione,cultura ed arte nell’età cesariana (c.11).


II Conclusa la presentazione dell’opera, seppure in semplice forma di sommario, vorrei ora brevemente soffermarmi sul valore letterario di essa. Infatti non v’è alcun dubbio che, anche a voler prescindere dal valore storiografico che ad essa deriva dalla straordinaria erudizione dell’autore, il quale ben padroneggia le fonti documentarie, sia di natura letteraria che epigrafica, sulle quali basa la sua ricostruzione; gran parte del fascinoso valore di questo monumento della cultura ottocentesca europea, risieda nelle qualità della scrittura e nell’abilità del Mommsen scrittore di presentare i protagonisti principali della sua narrazione. Per questa sua abilità letteraria forse oggi non molto nota, ma un tempo universalmente riconosciutagli, il grande storico venne giustamente insignito del premio Nobel per la letteratura nel 1902. Leggendo il complesso periodare mommseniano,ci si accorge della grande qualità letteraria e retorica della scrittura dello studioso tedesco,nonché della sua grande capacità di narratore e di ritrattista di indimenticabili caratteri che possiedono per il lettore di oggi un notevole valore dal punto di vista artistico. Ciascun personaggio infatti viene tratteggiato dal Mommsen,ora in maniera positiva ora in maniera negativa, non solo attraverso il suo personale giudizio di storico di professione,ma anche attraverso l’acume del politico attivo e la sensibilità del fine moralista. Tra i personaggi caratterizzati in maniera assai positiva voglio citare qui Quinto Sertorio,l’ufficiale sabino di parte mariana,rifugiatosi in Spagna che tenne testa per anni agli eserciti sillani che Roma gli inviò contro, e che alla fine dovette soccombere per il tradimento dei suoi.(72 a.C). A lui Mommsen dedica questo splendido e commosso elogio funebre:”Così finiva la sua vita uno dei più grandi uomini,per non dire il più grande,cui Roma avesse dato finora i natali,un uomo che in circostanze più fortunate sarebbe stato il rigeneratore della sua patria,e moriva per il miserabile tradimento d’una miserabile banda di emigrati,ch’esso era stato condannato a capitanare contro la patria. La storia non ama i Coriolani; anche per questo uomo, il più magnanimo, il più geniale, il più degno di compassione ,essa non ha fatto eccezione.”(volume 2,tomo 2,pag.600). Si confronti questo elogio funebre con quello assai ambiguo di Marco Porcio Catone Uticense, l’ultimo dei repubblicani ,personaggio seppur rispettato in certa misura, sotto più aspetti assai inviso,anzi direi decisamente antipatico al Mommsen:”Catone non era affatto un grand’uomo, ma nonostante quella miopia, quella stoltezza e noiosa aridità delle frasi fatte che lo caratterizzarono nel suo tempo e in tutti i tempi come l’ideale del repubblicanesimo sventato ed il beniamino di tutti coloro che civettavano con quell’ideale, egli però era il solo che rappresentasse con onestà e con coraggio il grande sistema nella sua agonia. Catone ha avuto una parte storica molto più importante che non molti altri uomini a lui superiori,poiché a fronte della semplice verità la più scaltra menzogna non regge,e poiché ogni grandezza e splendore della natura umana si appoggia infine sull’onestà e non sull’intelligenza.”(volume 2,tomo 2,pag1089).Ho cercato attraverso queste due semplici citazioni concernenti due figure tragiche della storia romana,diversamente caratterizzate dal Mommsen,di fornire al lettore una sia pur sommaria idea dell’abilità del grande storico tedesco nel ritrarre i protagonisti della sua narrazione. Il valore letterario dei personaggi del Mommsen risulterà naturalmente evidente a colui che vorrà accingersi a leggere interamente l’opera oggetto di questa mia recensione,ciò spero possa accadere anche grazie a questo mio modesto contributo.


                                                                                                                                                                               L'astrofilo filosofo

RECENSIONE:LA STORIA DELLA GIURISPRUDENZA ROMANA DI FRITZ SCHULZ


Sono assai lieto di ripubblicare sul mio nuovo blog questa recensione apparsa qualche anno fa su una rivista letteraria.



I Molti lettori avranno una certa dimestichezza con gli autori e la storia della letteratura latina grazie ai loro studi liceali o universitari. Meno diffusamente conosciuta è invece la tradizione letteraria giuridica latina, proprio ad essa, nonché al metodo, ai caratteri e ai procedimenti  dell’antica giurisprudenza romana è dedicato il libro dello studioso tedesco Fritz Schulz (1879-1957) oggetto della presente recensione. Esso costituisce, insieme ai Prinzipien des romischen Rechts, in cui lo Schulz aveva cercato di enucleare i concetti fondamentali su cui i Romani basavano ed elaboravano la loro esperienza giuridica e al Classical Roman Law, una ricognizione sistematica degli istituti del diritto privato romano al suo apogeo, una sorta di trilogia atta a fornire un quadro completo dell’esperienza giuridica latina. Il libro, scritto durante la seconda guerra mondiale, possiede l’autorità di un classico ed è esemplare per la chiarezza e l’eleganza con cui è scritto, secondo il canone della migliore storiografia anglosassone. Schulz, infatti, a causa della sua origine ebraica si trasferì in Inghilterra durante il regime hitleriano per sfuggire alle persecuzioni naziste. L’Opera è divisa in quattro sezioni. Nella prima, la più breve, intitolata “Il periodo arcaico”, lo studioso si occupa dei primordi della giurisprudenza romana, analizzando l’antico collegio sacerdotale dei Pontifices custode del diritto sacro nonché dei formulari del diritto privato. Schulz intende chiarire soprattutto il profilo sociologico di questi giuristi-sacerdoti romani, puntualizzando che essi non erano tanto dei sacerdoti spirituali o carismatici in senso orientale, quanto piuttosto tipici honoratiores nel senso di Max Weber: persone cioè di alto rango sociale a cui la posizione economica permetteva di assumere le più alte cariche pubbliche dello stato senza compenso alcuno. Si sofferma poi sulla più nota caratteristica del diritto romano arcaico: il formalismo degli atti giuridici e negoziali destinato a lungo a permeare lo spirito del diritto e a manifestarsi nelle forme tipiche (certa verba) di una ristretta rosa di negozi giuridici, adattati poi dalla giurisprudenza pontificale e laica nel corso del tempo a svolgere nuove funzioni (ad esempio la mancipatio che fu secondo Schulz “plastica e adattabile”, cioè capace di applicazioni estensive produttive di nuovi effetti giuridici.) Nella seconda parte, intitolata “Il periodo ellenistico”, viene descritto il progressivo sviluppo autonomo della giurisprudenza laica. Largo spazio viene dedicato all’ingresso nella scienza giuridica romana della dialettica greca ( “il saper dividere per generi” caro al Sofista di Platone) capace di sistematizzare il pensiero giuridico romano e di trasformarlo in un sapere atto a produrre una scienza giuridica specialistica di stampo ellenistico. Nasce così una vera e propria letteratura giuridica romana, che ha nei 18 Libri iuris civilis di Quinto Mucio Scevola (console del 95 a.C., nonché maestro di Cicerone) l’opera capitale di quest’epoca. Discreto spazio è inoltre dedicato a puntualizzare i rapporti tra scienza giuridica e avvocatura che, basata sullo sutdio della retorica, deve essere rigorosamente distinta dalla prima (si veda la Pro Murena e ciò che Cicerone dice del giurista Servio Sulpicio Rufo, console nel 51 a.C) E’ questa l’età in cui l’antico diritto civile romano stempera il suo formalismo nella nuova procedura giudiziaria del processo formulare, grazie all’attività del Pretore manifestantesi nel suo Editto (aveva perfettamente ragione Giambattista Vico nel De uno universi iuris principio et fine uno del 1720 –cap.CLXVI- a definire il pretore “custode del diritto privato romano”) in gran parte frutto del lavoro dei giuristi che assistevano lui e le parti in giudizio.) Nella terza parte “Il periodo classico” Schulz si occupa della giurisprudenza del principato da Augusto a Diocleziano, lo studioso analizza le novità introdotte dalla nuova figura del princeps attraverso l’introduzione dell’istituto del “ius publice respondendi” da intendersi come concessione del principe ai giuristi di dare responsa auctoritate imperatoris. L’antica figura dell’aristocratico giurista repubblicano viene gradatamente affiancata e poi sostituita da un nuovo tipo di giurista subordinato al sovrano e inserito nei nuovi uffici imperiali. Largo spazio è dato alla letteratura giuridica del principato, su di essa mi soffermerò brevemente in seguito. Nella quarta parte, intitolata “Il periodo burocratico”, Schulz descrive la giurisprudenza del tardo-antico caratterizzata da una completa burocratizzazione e alimentata da diverse tendenze, spesso tra loro contrastanti: la tendenza classicizzante, quelle alla stabilizzazione, alla semplificazione, all’umanizzazione ed infine alla cristianizzazione del diritto. E’ l’età della codificazione del sapere giuridico, dai primi Codices privati di costituzioni imperiali dell’età dioclezianea, Gregorianus e Hermogenianus, passando attraverso il Codex Theodosianus del 438,si giunge alla grande impresa del Corpus Iuris Civilis di Giustiniano: il primo Codex del 529; i Digesta seu Pandectae del 533 d.C., un’antologia delle opere dei principali giuristi classici; le Institutiones, opera sul diritto elementare in quattro libri ed infine la nuova raccolta di leggi imperiali, il Codex repetitae praelectionis del 534 d.C. Con Giustiniano cessa l’antica scienza giuridica romana e nascono la romanistica in occidente e la bizantina in oriente.
II Il capitolo quarto della parte terza è, come Schulz stesso riconosce, il più importante di tutto libro ed è dedicato alle opere principali della giurisprudenza classica, quelle da noi meglio conosciute perché da esse Giustiniano e il suo giurista Triboniano trassero i brani da inserire nel Digesto. Ora tesi fondamentale dello Schultz è che il dettato classico di queste opere di cui noi conserviamo ampi lacerti nel Corpus Iuris sia irrimediabilmente andato perduto, perché le opere dei giuristi classici vennero drasticamente  sottoposte a frevisionme nella prima età postclassica, (seconda metà del III secolo-prima metà del IV) pregiudicando così la nostra possibilità di una ricostruzione palingenetica letterale degli scritti dei giuristi classici. Qui mi limiterò semplificando a passare in rassegna brevemente i principali generi ed opere della letteratura giuridica classica, rimandando alo testo dello Schultz per un’analisi dettagliata. 1)Letteratura isagogica, cioè elementare. Si tratta di opere brevi e dal contenuto quasi manualistico: Libri tres iuris civilis di Massurio Sabino (I sec. d.C.); Institutiones di Gaio (II sec. d.C), opera importante  perché giuntaci quasi completa nel famoso palinsesto veronese scoperto dal Niebuhr nel 1816; Institutiones di Fiorentino (II sec. d.C.) di cui nulla rimane; Enchiridion di Pomponio (II sec. d.C.), da cui nel Digesto venne tratto il breve frammento del secondo Titolo “De origine iuris et omnium magistratuum et successione prudentium” assai importante per la storia giuridica, anche se purtroppo molto corrotto perché sunteggiato in età postclassica. 2) Commentari, soprattutto nella forma del commentario lemmatico. Quest’ultimo viene così definito da Schultz (pag 327): “ Il testo commentato e il commento sono opere separate, scritte su rotoli separati e il lettore è informato del passo commentato per mezzo di lemmi, cioè di estratti del testo.” Questo genere lo si può dividere in due sottogeneri fondamentali: commentari agli editti del pretore e dei governatori provinciali e commentari ad opere giuridiche di altri giuristi. Appartengono al primo sottogenere le seguenti opere: Ad Edictum di Labeone (I sec. a.C.-I sec d.C.) in 30 libri, Ad Editum di Pomponio in 150 libri, Ad Edictum di Giulio Paolo (fine sec.II-inizio III d.C) in 80 libri, Ad Edictum di Ulpiano (III sec.d.C. prefetto del pretorio sotto Alessandro Severo) in 83 libri. Appartengono invece al secondo sottogenere i 39 libri Ad Quintum Mucium e i 35 libri Ad Sabinum di Pomponio, i 16 libri Ad Sabinum di Giulio Paolo, i (forse) 62 libri sempre Ad Sabinum di Ulpiano. 3)Letteratura problematica. In questo terzo grande genere sono raccolte opere dedicate esclusivamente ai ai problemi più difficili e alle più imbarazzanti questioni di diritto. Si tratta del genere più congeniale al tipo di giurisprudenza casistica  (cioè dei casi concreti) sviluppata dai giuristi romani a lungo alieni dal formulare i principi giuridici in forma astratta ed universale. Queste opere hanno spesso i titoli di Digesta, Responsa, Quaestiones, Disputationes. Tra le opere più celebri di questo genere: i 39 libri di Digesta di Celso figlio (I-II sec.d.C), i 90 libri di Digesta di Salvio Giuliano (il giurista che, su incarico di Adriano, nel secondo secolo d.C. diede definitiva sistemazione all’Editto del pretore trasformandolo da lex annua in edictum perpetuum),i 40 libri di Digesta di Cervidio Scevola (II sec. d.C.), i 37 libri di Quaestiones  e i 19 di Responsa di Emilio Papiniano (prefetto del pretorio di Settimio Severo  fu fatto uccidere nel 212 d.C. da Caracalla in seguito all’assassinio del fratello Geta), i 26 libri di Quaestiones e i 23 di Responsa di Giulio Paolo, infine i 10 libri di Disputationes di Ulpiano. Rimando al testo dello Schultz il lettore interessato ad approfondire la conoscenza di altri generi minori quali i commentari a singole leges e senatusconsulta ( ad esempio le molte leggi augustee), opere monografiche (piuttosto rare), opere concernenti il diritto pubblico, la più celebre delle quali è il De officio proconsulis di Ulpiano.  
                                                                                                                                                             L'astrofilo filosofo 


giovedì 8 febbraio 2018

MANIFESTO DELL'ASTROFILO FILOSOFO

MANIFESTO DELL'ASTROFILO FILOSOFO


INTRODUZIONE

Inzio a scrivere e subito mi imbatto in una difficoltà che Ludwig Wittgenstein esprime aforisticamente così:” E' impossibile scrivere su noi stessi cose più vere di come noi siamo veri. Questa è la differenza fra scrivere su noi stessi e su cose esterne. Su noi stessi scriviamo esattamente alla nostra altezza, qui non siamo sui trampoli o su una scala, ma sui nostri piedi.”(Pensieri diversi 1937) Come posso dunque presentarmi a voi, cari lettori? Faccio mio questo ritratto umano e letterario del temperamento melanconico tratto dalle Osservazioni sul sentimento del bello e del sublime di Immanuel Kant:” L'uomo di temperamento malinconico si cura poco di quello che gli altri giudicano e ritengono buono e vero; egli si basa soltanto sul proprio criterio. Dal momento che in lui i moventi assumono la natura di principi, non è facile condurlo a mutar parere, talvolta la sua costanza degenera in testardaggine. Egli considera con indifferenza il cangiar delle mode, e con disprezzo il loro luccichio. Sublime è l'amicizia, e perciò essa si addice al suo sentire, egli può forse perdere un amico incostante, ma questi non perderà lui tanto presto; persino il ricordo di un'amicizia spenta rimane onorevole per lui. La loquacità è bella, la riservatezza pensosa e sublime: quest'uomo sara ben custode dei segreti propri e altrui. Sublime è la veracità, ed egli ha in odio il mentire o il dissimulare. Egli ha un alto sentimento della dignità della natura umana: apprezza se stesso, e ritiene ogni uomo creatura degna di rispetto. Non sopporta nessuna abietta ossequiosità, e libertà spira nel suo nobile petto: tutte le catene, a partire da quelle dorate che si portano a corte, sino al pesante ferro del galeotto, sono per lui detestabili. É severo giudice di se stesso e degli altri, e non di rado ha fastidio di sé come del mondo.” Ma questo non è che un ritratto letterario preso in prestito da un grande filosofo che in parte mi rappresenta e al contempo mi nasconde. Ma forse non è in fondo molto importante che io parli troppo di me stesso, dare troppa voce al proprio” maledetto io” (come lo definiva Carlo Emilio Gadda) rischia di far passare in secondo piano e di velare il contenuto di ciò che si ha da comunicare. Italo Calvino disse acutamente una volta:”Io appartengo al numero di coloro che ritengono che di una autore contino soltanto le opere, (quando contano naturalmente); quindi informazioni biografiche non ne do, o le do false”. Se di un autore letterario contano soltanto le opere; di un filosofo conta a maggior ragione ciò che egli pensa e il contenuto di pensiero si colloca in una sfera che è assai al di là da qualsiasi nota o vicenda biografica. Risolta così con una certa elusività la questione della mia presentazione, il lettore sarà senz'altro incuriosito dal titolo di questo mio blog:”L'astrofilo filosofo” e si domanderà:” Qual'è la connessione tra l'attività di astrofilo e quella di filosofo?” Proprio a questa domanda cercherò ora di rispondere.

PRIMA PARTE FILOSOFICA

Che cos'è la filosofia? Non pretendo certo di rispondere a questa domanda in modo esaustivo in questo mio breve scritto, cercherò quindi di fornire molto modestamente e solo per cenni la mia opinione personale e i forti convincimenti che sono andati formandosi nel mio animo. Generalmente si considera filosofia l'attività del pensiero tesa a costruire sistemi o teorie in grado di spiegare problemi di un settore particolare (estetica, politica, morale) o addirittura il mondo nel suo complesso. Ma questa definizione della filosofia è in grado di dare conto dell'intima essenza di essa? Io non ne sono affatto convinto. La lettura delle opere dello storico e filosofo francese Pierre Hadot mi hanno convinto che la filosofia sia essenzialmente e prima di tutto un modo di vivere basato sugli esercizi spirituali aventi come fine il perfezionamento e il trascendimento della propria individualità con il raggiungimento di una prospettiva universale. Per esercizi spirituali intendo quelle pratiche di riflessione e di concentrazione che permettono di ritrovare il nucleo della propria interiorità al di là delle contingenze a volte aspre della vita. Nella filosofia intesa come modo di vivere risulta essenziale la dimensione della cura di sé (di cui parla già Platone nell'Alcibiade I) intesa non come ripiegamento estetizzante verso se stessi, ma piuttosto come precondizione di apertura al mondo, apertura alla cura verso l'altro. Questa concezione della filosofia merita senz'altro un approfondimento maggiore di questi miei brevi cenni. Per ora mi limito a trarre alcune conseguenze da ciò che sono venuto dicendo. Il metodo con cui si insegna filosofia nelle nostre strutture educative è solo molto parzialmente corretto. La lettura delle opere della tradizione filosofica e la memorizzazione di ciò che sono andati ad esempio dicendo Platone, Aristotele, Locke, Hume, Kant non esaurisce affatto la filosofia. Si badi, qui io non intendo affatto negare il valore e l'importanza dell'approfondimento e del dialogo costante con gli autori della grande tradizione filosofica. Questi geni hanno tante cose da dire preziose, profonde; a volte strane e incredibili, indubbiamente gli autori classici sono e saranno per ricchezza e vastità intramontabili, un possesso per l'eternità direbbe Tucidide. Ma per dirla con Nietzsche:” Solamente nella misura in cui la storia serva alla vita, vogliamo servire la storia.” Il problema è che nel mero studio degli autori esiste il rischio di cadere nell'autoreferenzialità, di muoversi in una dimensione troppo specialistica, (György Lukacs parlava di idiotismo specialistico consistente nell'occuparsi in maniera esatta e ossessiva di pseudoproblemi) laddove invece la filosofia, se non vuole smarrire se stessa, deve poter parlare a tutti, anche a persone che non hanno mai letto e mai leggeranno i classici della tradizione filosofica. La filosofia, per riprendere una definazione hegeliana è “ il proprio tempo pensato per concetti”. Il proprio tempo appunto. E il nostro tempo è caratterizzato a mio avviso dall'ossessione nei confronti degli oggetti: dall'ossessione della categoria dell' avere piuttosto che da quella dell''essere. Viviamo soffocati dagli oggetti e da ciò che possediamo, con la perversa conseguenza di considerare anche le altre persone come oggetti, dunque soltanto in maniera strumentale, (dimentichi in tal modo dell'imperativo kantiano: agisci sempre considerando l'altro sempre come fine e mai puramente come mezzo). La filosofia come modo di vivere ci invita invece ad avere cura di ciò che umanamente siamo e a prenderci cura dell'interiorità degli altri. Essa ci invita all'umanesimo, alla riscoperta della nostra umanità, allo scoprire le cose semplici e apparentemente banali del nostro vivere quotidiano: la bellezza dello stare insieme, la ricchezza del dialogo con l'altro, il valore intramontabile di un'amicizia che dura da tanti anni. Ma è giunto il momento di collocare la mia attività di astrofilo all'interno di questa prospettiva filosofica che naturalmente ho solo sommariamente delineato.

SECONDA PARTE ASTRONOMICA

Ho detto sopra che l'esercizio spirituale è una pratica avente il fine di un trascendimento della propria individualità con il conseguente raggiungimento di una prospettiva universale. Ebbene l'osservazione astronomica ben si presta ad essere interpretata come esercizio spirituale. La contemplazione delle infinità del cosmo infatti ci permette di distaccarci dalla nostra piccola individualità, dalle piccole e grandi miserie del quotidiano, dai grandi e piccoli drammi della nostra vita. L'astronomia certifica che esiste un mondo incredibilmente vasto ed eterogeneo, popolato da oggetti misteriosi ed enigmatici che sempre accrescono ed accresceranno la nostra voglia di sapere e di comprendere, e che il nostro piccolo io non è affatto al centro del tutto come solitamente pensiamo in maniera irriflessa. L'osservazione degli spazi profondi del nostro Universo ridimensiona il nostro ego, conforta inoltre il nostro animo e ci invita a sperare di poter diventare ed essere costantemente uomini migliori nel breve spazio che ci è concesso da vivere. La contemplazione di stelle, galassie e pianeti possiede quindi un indubbio valore morale ed estetico e ci richiama facilmente alla riscoperta della nostra umanità e profondità essenziali, come già riconosceva Kant: “la legge morale dentro di me, il cielo stellato sopra di me.”Ogni astrofilo certamente si ricorda con commozione dei primi passi compiuti nell'osservazione del cielo mossi da quella meraviglia che già per Aristotele era l'inizio autentico di ogni filosofare e di ogni conoscere. Questa primordiale ed essenziale meraviglia è proprio ciò che sta a fondamento di ogni attività osservativa al di là dei mezzi tecnologici e dei risultati scientifici (o di semplice e puro diletto) che ogni astrofilo si prefigge. Che si osservi ad occhio nudo, con un modesto cannocchiale, con un piccolo o grande telescopio; che si sia osservatori visuali o astrofotografi, che si sia esperti o principianti, che si sia dei raffinati teorici o dei semplici pratici, sempre unica è la fonte che ci spinge ad allontanarci da noi stessi e da questo piccolo mondo per rivolgerci alle vastità degli spazi profondi! “Magnum miraculum est homo” diciamo con commozione tutti quanti insieme! E con Wolfram cantiamo all'unisono l'aria del Tannhäuser di Richard Wagner :”O du, mein holder Abendstern, /wohl grüsst'ich immer dich so gern(...) O tu mia dolce stella del Vespero,/ ben io sempre e di buon grado t'ho salutata (...)” Dunque proprio l'osservazione del cielo è di fondamentale importanza per raggiungere quella particolare temperatura emotiva, necessaria sul piano filosofico per vedere correttamente la propria vita e il mondo. Come il lettore avrà notato anch'io sento la musica delle sfere celesti come sostenevano gli antichi pitagorici ed è allora che la mia interiorità si trasforma e si trasfigura sfociando in momenti di mistica estatica... Ma avrò occasione di parlare di questo aspetto in un'altra occasione. Adesso è ormai giunto il momento di avviarmi alla conclusione di queste riflessioni introduttive.

CONCLUSIONE

Quelle che ho delineato finora sono le basi, i punti di partenza “ideologici” del blog che intendo sviluppare da qui in avanti. Aspetto peculiare di questo blog è la connessione, penso non ancora sviluppata tra i blogger, tra due discipline apparentemente lontane come la filosofia e l'astronomia. Come ho scritto anche nella breve presentazione scopo principale di questo blog è quello di creare una rete relazionale diffusa sulla base dei miei interessi mentali e umani, nella convinzione che non sia possibile alcun autentico interesse mentale senza una solida radice umana. Confido quindi che vorrete stringere amicizia con me e condividere i miei interessi e spero che troverete interessanti le cose che scriverò. Potrete lasciare i vostri commenti sotto i post ma anche scrivermi privatamente per conoscermi meglio, chiedermi e offrirmi la vostra amicizia nonché approfondire i temi che vi sembreranno di vostro interesse oppure quelli che vi appariranno deboli e problematici. Del resto sono convinto di avere bisogno delle vostre domande e dei vostri stimoli anche per realizzare certi progetti letterari che mi stanno particolarmente a cuore, perciò vi dico francamente: “Si, continuate a fare domande; ho senz'altro bisogno delle vostre domande, le domande del resto sono a volte assai più interessanti e ricche di significato delle stesse possibili risposte.Troverete quindi sviluppati i temi filosofici che mi stanno a cuore, il racconto delle osservazioni astronomiche che compirò, ma largo spazio dedicherò a molte altre cose, la musica, l'arte, il cinema, la letteratura che amo, i luoghi reali e mentali nei quali sovente si svolge la mia vita. Dunque a presto, cari amici lettori.
                                                                                                        L'astrofilo filosofo