Sono assai lieto di ripubblicare sul mio nuovo blog questa recensione apparsa qualche anno fa su una rivista letteraria.
I Molti lettori avranno una certa dimestichezza con gli autori e la storia della letteratura latina grazie ai loro studi liceali o universitari. Meno diffusamente conosciuta è invece la tradizione letteraria giuridica latina, proprio ad essa, nonché al metodo, ai caratteri e ai procedimenti dell’antica giurisprudenza romana è dedicato il libro dello studioso tedesco Fritz Schulz (1879-1957) oggetto della presente recensione. Esso costituisce, insieme ai Prinzipien des romischen Rechts, in cui lo Schulz aveva cercato di enucleare i concetti fondamentali su cui i Romani basavano ed elaboravano la loro esperienza giuridica e al Classical Roman Law, una ricognizione sistematica degli istituti del diritto privato romano al suo apogeo, una sorta di trilogia atta a fornire un quadro completo dell’esperienza giuridica latina. Il libro, scritto durante la seconda guerra mondiale, possiede l’autorità di un classico ed è esemplare per la chiarezza e l’eleganza con cui è scritto, secondo il canone della migliore storiografia anglosassone. Schulz, infatti, a causa della sua origine ebraica si trasferì in Inghilterra durante il regime hitleriano per sfuggire alle persecuzioni naziste. L’Opera è divisa in quattro sezioni. Nella prima, la più breve, intitolata “Il periodo arcaico”, lo studioso si occupa dei primordi della giurisprudenza romana, analizzando l’antico collegio sacerdotale dei Pontifices custode del diritto sacro nonché dei formulari del diritto privato. Schulz intende chiarire soprattutto il profilo sociologico di questi giuristi-sacerdoti romani, puntualizzando che essi non erano tanto dei sacerdoti spirituali o carismatici in senso orientale, quanto piuttosto tipici honoratiores nel senso di Max Weber: persone cioè di alto rango sociale a cui la posizione economica permetteva di assumere le più alte cariche pubbliche dello stato senza compenso alcuno. Si sofferma poi sulla più nota caratteristica del diritto romano arcaico: il formalismo degli atti giuridici e negoziali destinato a lungo a permeare lo spirito del diritto e a manifestarsi nelle forme tipiche (certa verba) di una ristretta rosa di negozi giuridici, adattati poi dalla giurisprudenza pontificale e laica nel corso del tempo a svolgere nuove funzioni (ad esempio la mancipatio che fu secondo Schulz “plastica e adattabile”, cioè capace di applicazioni estensive produttive di nuovi effetti giuridici.) Nella seconda parte, intitolata “Il periodo ellenistico”, viene descritto il progressivo sviluppo autonomo della giurisprudenza laica. Largo spazio viene dedicato all’ingresso nella scienza giuridica romana della dialettica greca ( “il saper dividere per generi” caro al Sofista di Platone) capace di sistematizzare il pensiero giuridico romano e di trasformarlo in un sapere atto a produrre una scienza giuridica specialistica di stampo ellenistico. Nasce così una vera e propria letteratura giuridica romana, che ha nei 18 Libri iuris civilis di Quinto Mucio Scevola (console del 95 a.C., nonché maestro di Cicerone) l’opera capitale di quest’epoca. Discreto spazio è inoltre dedicato a puntualizzare i rapporti tra scienza giuridica e avvocatura che, basata sullo sutdio della retorica, deve essere rigorosamente distinta dalla prima (si veda la Pro Murena e ciò che Cicerone dice del giurista Servio Sulpicio Rufo, console nel 51 a.C) E’ questa l’età in cui l’antico diritto civile romano stempera il suo formalismo nella nuova procedura giudiziaria del processo formulare, grazie all’attività del Pretore manifestantesi nel suo Editto (aveva perfettamente ragione Giambattista Vico nel De uno universi iuris principio et fine uno del 1720 –cap.CLXVI- a definire il pretore “custode del diritto privato romano”) in gran parte frutto del lavoro dei giuristi che assistevano lui e le parti in giudizio.) Nella terza parte “Il periodo classico” Schulz si occupa della giurisprudenza del principato da Augusto a Diocleziano, lo studioso analizza le novità introdotte dalla nuova figura del princeps attraverso l’introduzione dell’istituto del “ius publice respondendi” da intendersi come concessione del principe ai giuristi di dare responsa auctoritate imperatoris. L’antica figura dell’aristocratico giurista repubblicano viene gradatamente affiancata e poi sostituita da un nuovo tipo di giurista subordinato al sovrano e inserito nei nuovi uffici imperiali. Largo spazio è dato alla letteratura giuridica del principato, su di essa mi soffermerò brevemente in seguito. Nella quarta parte, intitolata “Il periodo burocratico”, Schulz descrive la giurisprudenza del tardo-antico caratterizzata da una completa burocratizzazione e alimentata da diverse tendenze, spesso tra loro contrastanti: la tendenza classicizzante, quelle alla stabilizzazione, alla semplificazione, all’umanizzazione ed infine alla cristianizzazione del diritto. E’ l’età della codificazione del sapere giuridico, dai primi Codices privati di costituzioni imperiali dell’età dioclezianea, Gregorianus e Hermogenianus, passando attraverso il Codex Theodosianus del 438,si giunge alla grande impresa del Corpus Iuris Civilis di Giustiniano: il primo Codex del 529; i Digesta seu Pandectae del 533 d.C., un’antologia delle opere dei principali giuristi classici; le Institutiones, opera sul diritto elementare in quattro libri ed infine la nuova raccolta di leggi imperiali, il Codex repetitae praelectionis del 534 d.C. Con Giustiniano cessa l’antica scienza giuridica romana e nascono la romanistica in occidente e la bizantina in oriente.
II
Il capitolo quarto della parte terza è, come Schulz stesso riconosce, il più
importante di tutto libro ed è dedicato alle opere principali della
giurisprudenza classica, quelle da noi meglio conosciute perché da esse
Giustiniano e il suo giurista Triboniano trassero i brani da inserire nel
Digesto. Ora tesi fondamentale dello Schultz è che il dettato classico di
queste opere di cui noi conserviamo ampi lacerti nel Corpus Iuris sia irrimediabilmente andato perduto, perché le opere
dei giuristi classici vennero drasticamente
sottoposte a frevisionme nella prima età postclassica, (seconda metà del
III secolo-prima metà del IV) pregiudicando così la nostra possibilità di una
ricostruzione palingenetica letterale degli scritti dei giuristi classici. Qui
mi limiterò semplificando a passare in rassegna brevemente i principali generi
ed opere della letteratura giuridica classica, rimandando alo testo dello
Schultz per un’analisi dettagliata.
1)Letteratura isagogica, cioè elementare. Si tratta di opere brevi e dal
contenuto quasi manualistico: Libri tres
iuris civilis di Massurio Sabino (I sec. d.C.); Institutiones di Gaio (II sec. d.C), opera importante perché giuntaci quasi completa nel famoso
palinsesto veronese scoperto dal Niebuhr nel 1816; Institutiones di Fiorentino (II sec. d.C.) di cui nulla rimane; Enchiridion di Pomponio (II sec. d.C.),
da cui nel Digesto venne tratto il breve frammento del secondo Titolo “De origine iuris et omnium magistratuum et
successione prudentium” assai importante per la storia giuridica, anche se
purtroppo molto corrotto perché sunteggiato in età postclassica. 2) Commentari, soprattutto nella forma del
commentario lemmatico. Quest’ultimo viene così definito da Schultz (pag
327): “ Il testo commentato e il commento sono opere separate, scritte su
rotoli separati e il lettore è informato del passo commentato per mezzo di
lemmi, cioè di estratti del testo.” Questo genere lo si può dividere in due
sottogeneri fondamentali: commentari
agli editti del pretore e dei governatori provinciali e commentari ad opere giuridiche di altri giuristi. Appartengono al
primo sottogenere le seguenti opere: Ad
Edictum di Labeone (I sec. a.C.-I sec d.C.) in 30 libri, Ad Editum di Pomponio in 150 libri, Ad Edictum di Giulio Paolo (fine
sec.II-inizio III d.C) in 80 libri, Ad
Edictum di Ulpiano (III sec.d.C. prefetto del pretorio sotto Alessandro
Severo) in 83 libri. Appartengono invece al secondo sottogenere i 39 libri Ad Quintum Mucium e i 35 libri Ad Sabinum di Pomponio, i 16 libri Ad Sabinum di Giulio Paolo, i (forse) 62
libri sempre Ad Sabinum di Ulpiano. 3)Letteratura problematica. In questo
terzo grande genere sono raccolte opere dedicate esclusivamente ai ai problemi
più difficili e alle più imbarazzanti questioni di diritto. Si tratta del
genere più congeniale al tipo di giurisprudenza casistica (cioè dei casi concreti) sviluppata dai
giuristi romani a lungo alieni dal formulare i principi giuridici in forma
astratta ed universale. Queste opere hanno spesso i titoli di Digesta, Responsa, Quaestiones,
Disputationes. Tra le opere più celebri di questo genere: i 39 libri di Digesta di Celso figlio (I-II sec.d.C),
i 90 libri di Digesta di Salvio
Giuliano (il giurista che, su incarico di Adriano, nel secondo secolo d.C.
diede definitiva sistemazione all’Editto del pretore trasformandolo da lex annua in edictum perpetuum),i 40 libri di Digesta di Cervidio Scevola (II sec. d.C.), i 37 libri di Quaestiones e i 19 di Responsa
di Emilio Papiniano (prefetto del pretorio di Settimio Severo fu fatto uccidere nel 212 d.C. da Caracalla
in seguito all’assassinio del fratello Geta), i 26 libri di Quaestiones e i 23 di Responsa di Giulio Paolo, infine i 10
libri di Disputationes di Ulpiano.
Rimando al testo dello Schultz il lettore interessato ad approfondire la
conoscenza di altri generi minori quali i commentari a singole leges e senatusconsulta ( ad esempio le molte leggi augustee), opere
monografiche (piuttosto rare), opere concernenti il diritto pubblico, la più
celebre delle quali è il De officio
proconsulis di Ulpiano.
L'astrofilo filosofo
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