giovedì 22 novembre 2018

FRANZ JOSEPH HAYDN (1732-1809)










E' un grande piacere per me dedicare un post ad un grande musicista come Haydn, la sua musica rappresenta infatti il miglior antidepressivo naturale che io conosca, ed invito tutti ad ascoltarla e ad amarla perché ne vale sicuramente la pena: non si può non sorridere di fronte alla bellezza e all'arguzia delle invenzioni haydniane che ti si palesano all'orecchio come un vero e proprio “riso dell'universo”. Haydn è probabilmente uno dei musicisti più sottovalutati della storia della musica, probabilmente perché si trova un po' schiacciato tra i due giganti drammatici Mozart e Beethoven. Nato nel 1732 a Rohrau nel 1761 passò al servizio di casa Esterhazy prima del principe Paul Anton e poi del fratello Nicolaus il Magnifico. Amico di Mozart divenne ben presto celebre in tutta Europa e nel 1790 accettò l'invito dell'impresario Salomon e si recò a Londra per dirigere un gruppo di sinfonie composte appositamente per quell'occasione. Di nuovo a Londra nel 1794-1795 tornò poi a Vienna dove morì nel 1809 celebre in tutta Europa. Il catalogo della produzione haydniana è vastissimo, passo qui in rassegna le opere principali. Haydn scrisse ben 108 sinfonie tra il 1759 e il 1795, le prime 81 composte per l'organico ridotto dell'orchestra degli Esterhazy, mentre le n° 82-87 vennero composte per Parigi (la n° 85 “La reine” è tra le mie preferite) e le n° 93-104 per Londra (le londinesi). Dal punto di vista della musica da camera Haydn scrisse 52 sonate per pianoforte 31 trii per pianoforte, una gran quantità di composizioni per viola baryton, uno strumento assai amato dal principe Nicolaus Esterhazy che ne era assai appassionato. Vertice della produzione cameristica sono senz'altro i quartetti per archi in numero di 83. Tra i più noti vi sono i 6 quartetti op 20, i 6 quartetti russi op. 33 (composti in uno stile assolutamente nuovo a dire dello stesso Haydn), i 6 quartetti prussiani op. 50, i 6 quartetti op.64, i 6 quartetti op. 76, la raccolta da me più amata e di cui magari avrò occasione di riparlare. Numerose le opere teatrali (ll mondo della luna, L'infedeltà delusa, L'incontro Improvviso) le messe (tra cui Missa Sanctae Caecilae, Missa in tempore Belli, Theresien Messe) gli oratori (Ritorno di Tobia, La creazione, Le stagioni quest'ultimo a volte criticato ingiustamente per il suo facile descrittivismo). Segnalo particolarmente l'opera Le ultime sette parole di Cristo sulla croce, particolarmente suggestiva e interessante anche perché di essa ne esistono diverse versioni: quella per oratorio, quella orchestrale, quella per quartetto d'archi e quella per fortepiano. Ciò che di peculiare v'è nella musica di Haydn mi sembra sia la presenza di un linguaggio musicale autonomo in grado di competere alla pari con il comune linguaggio verbale. Linguaggio poi approfondito e sviluppato da Mozart e Beethoven. Auguro a tutti di cuore ore liete e serene in compagnia della musica di papà Haydn.

OMAGGIO ALLE LEZIONI DI MUSICA DI RADIOTRE

Segnalo a tutti gli appassionati di musica che ancora non le conoscessero, o a coloro che volessero avvicinarsi al mondo della musica classica le lezioni che ormai gìà da alcuni anni Radiotre offre ai suoi ascoltatori. Motore di queste lezioni è Giovanni Bietti, la cui passione e capacità di spiegazione sono davvero magistrali. Ho imparato molto da queste lezioni, esse sono una bellissima chiave che porta anche un profano come me, che sono un semplice appassionato musicofilo, ad un ascolto della musica enormemente più ricco e consapevole.

OMAGGIO AL TEATRO ARGENTINA DI ROMA.

Vorrei segnalare a tutti gli appassionati di archeologia e di mondo antico le bellissime conferenze che si trovano su You Tube “Luce sull'archeologia.” Che queste conferenze si tengano proprio nei presi della Curia Pompei, a pochi passi da dove venne ucciso Giulio Cesare lo trovo un fatto particolarmente bello e commovente. Davvero una bellissima iniziativa, non solo per coloro che hanno la fortuna di poter essere presenti in teatro ed assistere alle conferenze dal vivo, ma anche per tutti coloro che, non essendo presenti a Roma, hanno la fortuna di poterle visionare online. Esperti di storia e di archeologia come ad esempio il prof. Eugenio La Rocca o il prof. Luciano Canfora o il prof. Paolo Sommella (per citare solo qualche nome) parlano di storia e di archeologia in modo preciso coinvolgente e appassionante.

OMAGGIO AL PROFESSOR RENATO PANNUNZIO

Vorrei omaggiare e ringraziare pubblicamente il prof. Renato Pannunzio che nel suo corso su You Tube “ Astronomia in pillole” ha presentato un bellissimo corso di astronomia che tutti gli astrofili possono liberamente seguire in modo da affinare e approfondire le proprie conoscenze in campo astronomico. Dobbiamo essere profondamente grati a coloro che mettono a disposizione il loro sapere al fine di istruirci sugli argomenti che amiamo. Il corso è così strutturato: esso comprende essenzialmente una prima parte dedicata ai fondamenti di astronometria, una parte dedicata alla struttura e alla dinamica della nostra Galassia, una ricca parte dedicata alla luna e al sistema solare. Attualmente inoltre il prof. Pannunzio sta dedicando delle lezioni alle basi fisiche e matematiche per permetterci di fruire al meglio del suo corso “Astronomia in pillole”. Buona visione a tutti gli astrofili amanti dei cieli e degli oggetti affascinanti che li popolano.

IL PROBLEMA DEL SOLIPSISMO

Partirò da una definizione di cosa sia il solipsismo. L'enciclopedia Bompiani di filosofia lo definisce così:”E' la dottrina filosofica secondo la quale il soggetto pensante deve, per necessità ad un tempo razionale ed empirica, affermare con certezza evidente la realtà di se stesso, in quanto è pensante, ma solamente di se stesso.” Il solipsista è dunque convinto che esista solamente la sua coscienza e i contenuti della sua coscienza, quanto agli altri nulla di certo si può dire: potrebbero essere semplicemente dei manichini abbigliati come noi ma nulla di più (questa diciamo “strana fantasia” appare nelle Meditazioni Metafisiche di Cartesio, all'inizio della ricostruzione del sapere operata dal filosofo francese). Questa posizione teoretica comporta evidentemente gravi conseguenze sul piano pratico perché non può che condurre all'incomunicabilità e alla chiusura del soggetto in se stesso. Dobbiamo dunque rassegnarci a restare prigionieri di noi stessi, chiusi all'interno della nostra coscienza? Dobbiamo dunque rassegnarci metaforicamente a vivere come il pittore Pontormo ”uomo fantastico e solitario” isolati nella strana casa della nostra coscienza? (Quel “maledetto io” contro cui si scagliava lo scrittore Carlo Emilio Gadda.) Lo confesso francamente: in certi momenti della mia vita l'ho quasi pensato, e ciò mi ha portato probabilmente a una certa difficoltà comunicativa e relazionale con gli altri. Mi ha risvegliato da questo sonno dogmatico solipsista Arthur Schopenhauer il quale sostiene che il solipsismo (egoismo teoretico) pur essendo inconfutabile con argomenti razionali si può però ”ritrovare solamente nel manicomio”, dove non ha bisogno di argomenti per confutarlo, ma di “cure” per guarirlo. Dunque davvero ha ragione Wittgenstein quando scrive che “il filosofo è un uomo che deve guarire da molte malattie dell'intelletto, prima di poter giungere alle convinzioni del senso comune.” Ma forse nella posizione solipsistica c'è molto di più di una semplice malattia mentale bisognosa di cure. E proprio riflettendo su Wittgenstein provo a dare la mia interpretazione del solipsismo. Si tratta di una libera interpretazione che non vuole essere filologica di quello che egli scrive a proposito del solipsismo. Nel suo Tractatus alla proposizione 5.62 egli scrive una frase particolarmente enigmatica:” Ciò che il solipsismo intende è del tutto corretto; solo non si può dire, ma mostra sè(sottolineature mie). E proprio riprendendo l'opposizione tra dire e mostrare caratteristica della filosofia del Tractatus di Wittgenstein io provo a dare la mia interpretazione del solipsismo. Come posizione filosofica teoretica che afferma (dice) l'esistenza dei soli contenuti di coscienza del nostro io e che dunque porta allo scetticismo e alla chiusura verso il mondo e gli altri il solipsismo è del tutto privo di senso ed è assolutamente da respingere. Però questa proposizione non è un semplice non senso assoluto, non è un insieme di parole insignificanti come “casa, allora, forse”; il solipsismo penso mostri qualcosa di molto importante e di radicale sulla nostra condizione di esseri umani attualmente esistenti. La posizione solipsitica mostra che nasciamo soli e moriamo soli, nel senso che nessuno può vivere la vita e neppure la morte di un'altra persona. Esiste quindi una distanza dagli altri che è incolmabile. In un senso profondo e radicale possiamo dire allora con Sartre che davvero “Siamo soli, senza scuse”. Direi che il solipsismo mostra la precarietà, se volete il carattere drammatico della nostra esistenza di esseri umani; mostra la fragilità del nostro essere, mostra che anche il rapporto con gli altri ha dei limiti radicali, nella misura in cui è impossibile annullare la distanza ontologica che ci separa dalle altre persone. Metaforicamente direi che tutti noi viviamo quotidianamente come appesi al seggiolino di una seggiovia, ed ognuno occupa il proprio posto senza poter occupare assolutamente quello dell'altro, ma anche da questa posizione propria di ciascuno di noi possiamo tranquillamente parlarci, interagire, affezionarci l'un l'altro senza rimanere necessariamente e completamente prigionieri di noi stessi.

domenica 4 novembre 2018

DENARIO DI ADRIANO











La  nuova moneta che vi presento è un altro denario dell'imperatore Adriano (Cohen 374 tomo II pag 138):Sul dritto è raffigurato l'imperatore sulla base però di un ritratto differente rispetto alla moneta precedente, l'inscriptio è HADRIANUS AUGUSTUS; sul rovescio la libertas che stavolta è raffigurata in piedi con il cappello e lo scettro e la scritta COS III (console per la terza volta) Questa moneta è catalogata al numero 175 del volume terzo di The Roman Imperial Coinage pag 360. Sulla base della titolatura e del ritratto imperiale Harold Mattingly la cataloga come successiva alla precedente, appartenente ad un periodo compreso tra il tardo 125 e l'inizio del 128 d.C.

RACCONTO: COSTANZA BONARELLI


COSTANZA BONARELLI



Nel 1638 Costanza Bonarelli  era una graziosa  ragazza  di circa trent’anni che viveva con il marito scultore Matteo Bonarelli nel quartiere di Borgo nei pressi del Vaticano. Colta e intelligente, di raffinata discendenza aristocratica, era infatti strettamente imparentata con il ramo viterbese dei Piccolomini, si guadagnava da vivere facendo la mercante d’arte di successo, ad esempio recentemente aveva venduto per tremila ducati numerose tele di Nicolas Poussin al temibile cardinale di Richelieu, eminenza grigia del re Luigi XIII. Abituata a trattare alla pari con nobili, papi e cardinali Costanza amava la vita e benché fosse una donna sposata era sempre pronta a intrecciare relazioni amorose passionali e spregiudicate, per di più spesso utili alla sua attività economica. Da due anni amava appassionatamente Gian Lorenzo Bernini, che per lei aveva perso letteralmente la testa. Si vociferava a Roma, con grande scandalo dei benpensanti, che Gian Lorenzo trascorresse ormai molto più tempo ad amoreggiare con lei  nella sua casa di Borgo di quanto ne passasse in San Pietro per portare avanti le numerose commissioni scultoree che papa Urbano ottavo gli aveva affidato. Gian Lorenzo la amava di un amore violento e passionale e non faceva altro per tutta la giornata che pensare a lei; tutta la sua vita ruotava ormai intorno a quella donna, il desiderio di averla sempre con sé , l’insistente presenza dell’immagine di quella donna che gli portava alla mente la dolcezza di quei continui incontri furtivi, dominava ormai completamente l’animo di Gian Lorenzo. “Costanza io amo, per Costanza impazzisco, per Costanza m’incanto” ripeteva continuamente il grande scultore dentro di sé.  Completamente dominato dal desiderio verso quella donna Gian Lorenzo non desiderava altro ormai che averla sempre esclusivamente tutta per sé. Ma una mattina di inizio estate del 1638, Gian Lorenzo, passando per caso nei pressi della casa di suo fratello minore Luigi, nei pressi di Santa Bibiana, vide Costanza uscire dalla porta di quella abitazione con i capelli scomposti e lo sguardo assonnato. Non gli ci volle molto per comprendere ciò che era accaduto nel segreto delle stanze di quella dimora, e così quell’incanto amoroso svanì di colpo. Gian Lorenzo comprese che quella donna da lui tanto amata e agognata non gli apparteneva affatto in modo esclusivo come lui aveva sempre immaginato e fantasticato. Lei lo tradiva spudoratamente e per di più lo tradiva con il suo amatissimo fratello Luigi! Doppio tradimento dunque. Il sentimento appassionato verso quella donna mutò improvvisamente e sottili inquietudini si impadronirono del suo animo. Esse si trasformarono ben presto in  un cocente dolore per la perdita di possesso di quel bene che lui riteneva sua unica ed esclusiva ragione di vita. Comprendeva ormai che quella donna non gli apparteneva più. Preso dalla disperazione pensò di poter continuare a possedere quella donna attraverso la sua arte. Iniziò allora a lavorare giorno e notte ad un busto in marmo di Costanza che  in tal modo sarebbe appartenuta a lui per tutta l’eternità, sebbene solo attraverso una scultura di marmo. E la raffigurò come tante volte l’aveva vista durante i loro incontri amorosi: con i capelli scompigliati, le labbra leggermente socchiuse, la camicia da notte leggermente aperta  a lasciar intuire le morbide forme del suo corpo. Concluse il busto in una sola settimana di febbrile lavoro e poi si mise ad adorarlo e a contemplarlo, abbracciandolo più volte e baciandolo anche appassionatamente. Ma ben presto  si rese conto che la freddezza marmorea di quel simulacro non poteva affatto sostituire il calore vivo di quella donna che sentiva irrimediabilmente  e definitivamente lontana da lui. Il tentativo di continuare a possedere l’amore di Costanza attraverso la scultura fallì così miseramente e a questo punto un’ira e un’indignazione sempre più  forti si impadronirono dell’animo di Gian Lorenzo. “Vendetta sì, tremenda vendetta” cominciò a sussurrargli una  maligna voce interiore sempre più forte e insistente. Decise allora di vendicarsi in primo luogo di quel fedifrago di suo fratello, che incurante della lealtà fraterna gli aveva sottratto quel bene di impareggiabile valore. Si armò di un bastone e corse ad aspettarlo fuori casa. Non appena lo vide gli urlò contro tutte le minacce e le cattiverie che gli vennero in mente, brandendo con furiosa disperazione quell’arma impropria. Luigi, non appena ebbe visto il fratello in quelle condizioni ferine, si dette ad una fuga precipitosa ed entrò affrettatamente nella basilica di  Santa Maria Maggiore. Ma neppure la sacralità di quel luogo riuscì a calmare l’ira di Gian Lorenzo, che entrato  in quel luogo sacro, raggiunse il fratello nei pressi dell’altar maggiore ed iniziò a bastonarlo furiosamente. E l’avrebbe certamente ucciso, se alcuni preti della basilica non fossero intervenuti a disarmarlo e ad allontanarlo a forza; in  tal modo Luigi se la cavò per il rotto della cuffia e salvò la pelle, riportando tuttavia la rottura di alcune costole. La notizia della furiosa escandescenza di Gian Lorenzo si sparse in un baleno per tutta Roma, raggiunse anche la madre di Gian Lorenzo e di Luigi,  Angelica che prontamente pensò di scrivere al cardinale  Francesco Barberini  raccontandogli l’accaduto e chiedendogli di mandare in esilio quel figlio furioso che aveva  tentato di uccidere il proprio fratello addirittura in uno dei luoghi più sacri di tutta la cristianità. Il cardinale mandò in primo luogo alcuni servitori a casa di Gian Lorenzo affinché lo calmassero e gli impedissero  di agire ulteriormente in modo violento. E il cardinale si dimostrò veramente saggio, infatti Gian Lorenzo tornato nella propria abitazione, già pensava di vendicarsi anche di Costanza; aveva già dato ordine ad un suo  servitore armato di rasoio di raggiungerla a Borgo e di sfregiarle il volto. Questo piano selvaggio e criminoso fu fortunatamente sventato dall’intervento degli uomini del cardinale, che posero Gian Lorenzo sotto stretta sorveglianza in  una sorta di stato di arresto provvisorio, nell’attesa delle decisioni definitive sul suo conto da parte di papa Urbano Ottavo. Quest’ultimo avvisato da Francesco dell’accaduto lasciò le sacre stanze dei palazzi apostolici e si recò velocemente  a palazzo Barberini, per discutere della situazione con il proprio nipote. Qui gli parve subito impossibile esiliare Gian Lorenzo, del cui talento artistico aveva assolutamente bisogno per dare lustro al proprio pontificato e alla cristianità tutta; decise quindi  di esiliare immediatamente il meno utile dei due fratelli, cioè Luigi e convocò per il giorno successivo Gian Lorenzo al fine di rimettere la testa a posto a quello sciagurato ma indispensabile scultore. L’indomani Gian Lorenzo, che si era nel frattempo calmato  e  che  già  paventava le conseguenze dei propri gesti inconsulti, varcò il portone di palazzo Barberini. Papa Urbano ottavo sedeva su uno scranno di marmo rivestito dei solenni paramenti sacri attestanti la dignità del pontefice nel salone di palazzo Barberini, quello affrescato interamente pochi anni prima da Pietro da Cortona.  Gian Lorenzo , salita la scalinata, vide in fondo alla sala il pontefice in atteggiamento solenne e dal volto irato, si avvicinò lentamente al papa, e quando fu giunto presso il suo cospetto si inginocchiò e disse: <Mi inchino reverente di fronte alla santità della vostra persona che mi onoro da tanti anni di servire> Il papa fece un cenno con la mano affinché si sollevasse e poi cominciò a parlare in tono aspro:< Cavalier Bernini, che diavolo mai vi passa per la testa? Tentare di uccidere il vostro fratello a causa di una relazione clandestina con una donna sposata, e per di più attentare alla sua vita proprio in uno dei luoghi più sacri e venerati di tutta la cristianità. Non avete dunque alcun riguardo per le api che volteggiano in questa sala e che tanto vi hanno beneficato? E non pensate all’angoscia che avete procurato alla vostra povera madre che in un sol colpo ha rischiato di perdere le due persone che più ama al mondo: voi e vostro fratello? Meritereste di passare molti anni della vostra vita in ceppi a Castel Sant’Angelo!> Gian Lorenzo non rispose, divenne tutto rosso in volto e chinò il capo in segno di sottomissione. Il papa allora riprese più dolcemente: < Figliolo, Dio non ha voluto che voi veniste al mondo per rovinare il vostro talento a causa di un amore sbagliato, adulterino e ciecamente possessivo. Il mondo purtroppo è spesso cieco e voi vi siete comportato conformemente ad esso. Dio vi ha chiamato ad una grande impresa: quella di servire la chiesa attraverso la vostra arte e a questo dovete il fatto che non sarete punito  duramente per la vostra condotta irragionevole e furiosa. Tuttavia dall’alto del mio alto magistero, dato che non intendo punirvi, cercherò invece di ammaestrarvi. Vi spiegherò dunque la natura del vostro errore affinché possiate meditare e pentirvi nell’intimo per la vostra sciagurata condotta. Varie sono le specie di amore che l’Eterno ha creato. In primo luogo l’amore di Dio per tutte le sue creature, esso è Caritas, ed è simile ad una luce benigna che dall’alto tutto investe gratuitamente senza nulla chiedere in cambio. A codesto amore la creatura deve rispondere con l’amore nei confronti del proprio creatore. Questo è l’unico tipo di amore assoluto. Esiste poi un secondo genere di amore quello della creatura per le altre creature. Ebbene questo tipo d’amore, celebrato e magnificato ingenuamente da tutta la nostra poesia, è un amore del tutto imperfetto e come accade a tutte le cose di questo mondo, non è un bene assoluto, ma un misto di bene e di male.  La gran parte degli uomini vedono in esso solo un grande bene, e questo può essere vero nella misura in cui esso proceda bene e sia ricambiato. Ma nel momento in cui subentri la perdita del bene agognato, nel momento in cui venga meno il possesso della cosa amata, ecco che questo amore si trasforma facilmente nel suo contrario e può diventare odio e cieco furore. Aveva ragione il vecchio Eraclito a sostenere l’unità dei contrari! Chi non conosce la sventurata Medea che dopo essere stata abbandonata da Giasone, trasformò il suo amore in odio e spinse la sua cieca furia al punto da commettere l’odiato crimine dell’uccisione dei propri figli  per vendicarsi dell’abbandono subito? La maggior parte degli uomini ritengono che questi atti criminosi commessi in nome dell’amore non li riguardino affatto, siano atti mostruosi nati da menti perverse, ma forse il male è sempre in agguato in ogni creatura a causa della sua intrinseca debolezza ed anche all’uomo più ragionevole può capitare di commettere atti terribili e sconsiderati.  Ciò è proprio quello che è accaduto a voi, mio caro cavalier Bernini. Le cose sono maledettamente assai più complicate di come le si descrivono comunemente. Qui può soccorrere l’insegnamento degli antichi da me sempre studiati e venerati. Occorre sempre grande vigilanza e un non facile equilibrio e una impegnativa riflessione. L’amore passionale che comporta il possesso e la dipendenza dall’oggetto amato secondo il venerabile Crisippo è una passione del tutto sconsiderata che va estirpata dall’animo. Ma forse ciò è irrealizzabile e tale tesi la si può applicare solo all’inesistente saggio stoico, più che ai concreti esseri umani. Anche secondo Lucrezio questo amore passionale e possessivo va condannato e sostituito dalla ricerca del puro piacere, da quella che lui chiama pura voluptas. Non crediate però che io mi faccia portavoce di questa tesi che porterebbe al puro libertinaggio e sarebbe quindi lontana dalla vera dottrina delle nostre scritture. Voglio darvi un consiglio pratico, caro cavalier Bernini. Abbandonate le relazioni troppo passionali che il più delle volte sono relazioni  adulterine e prendetevi una moglie. Amate questa moglie di un amore equilibrato e razionale che possa portare alla nascita di figli  ad maiorem gloriam Dei et Romanae Ecclesiae. Un amore  che non sia ossessivo e possessivo, e che nel corso del tempo, che inevitabilmente logora  e distrugge ogni cosa, sia atto a trasformarsi in affetto e autentica amicizia. Un amore di tal fatta, pronto ad adattarsi alle contingenze della vita, è molto improbabile possa trasformarsi, di fronte alla perdita del possesso dell’amata, nel suo contrario e sfociare in atti di odio e violenza, come quelli che voi avete compiuto, anche se fortunatamente voi non vi siete spinto fino all’irreparabile. Ricordate sempre, amatissimo figliuolo, l’ epigrafe che quando fui cardinale apposi nel basamento della vostra scultura di Apollo che insegue Dafne:” Chiunque segue le gioie del piacere, acceccato dal desiderio e dal possesso dell’amante, si ritrova con la mano piena di foglie e di bacche amare”.> Così dunque parlò il coltissimo Maffeo Barberini. Gian Lorenzo uscì da quella udienza profondamente riconfortato e deciso a rinunciare ad un amore troppo fortemente possessivo, sinceramente pentito delle proprie azioni sconsiderate e malvagie. Regalò subito ai Medici il busto in marmo di Costanza Bonarelli, anche se  tenne per sé segretamente un bozzetto in terracotta di quel busto, che negli anni successivi ancora gli accadde  talvolta di  contemplare furtivamente. Decise inoltre di seguire il consiglio del Papa di sposarsi e amò per il resto della propria vita la sua compagna di quell’amore equilibrato e non eccessivo di cui  gli aveva parlato il pontefice. Qualche lettore si chiederà che cosa accadde a Costanza, denunciata come adultera, venne condannata e passò qualche mese in prigione; riottenuta la libertà proseguì la sua attività  di mercante e continuò i suoi amori clandestini come se nulla fosse accaduto.